Tabucchi, romanziere albino

Caro lettore, chi ti parla è il risvolto veridico de Il tempo invecchia in fretta, il libro di Tabucchi che hai in mano e che ti sconsiglio caldamente di acquistare. Per una bizzarria della macchina editoriale, hanno stampato me anziché la mia versione edulcorata: quindi apri bene le orecchie, così ti eviterò di sprecare 15 euro.
Le uniche cose belle di questa “novità” di Tabucchi sono il titolo e la copertina – e nessuna delle due è opera sua. Il resto è un’accozzaglia di racconti che non raccontano nulla, cascami narrativi e pretesti autoreferenziali che uno scrittore serio, uno che non volesse pubblicare solo per fare atto di presenza in libreria e in banca, spazzerebbe via col fastidio di chi esige qualcosa di meglio da sé. Tabucchi no: lui di questa sostanza larvale ha fatto materia per un libro; e c’è da capirlo, essendo uno dei massimi rappresentanti di quell’albinismo letterario per cui il racconto non è invenzione bensì semplice ed esangue riproduzione di sé con altre spoglie.
Fosse almeno un periplo ombelicale di quelli alla Erri De Luca (scrittore dalla vita conradiana, quindi dall’ombelico vasto quanto un continente) ci sarebbe di che far viaggiare le emozioni. Ma quello di Tabucchi è un ombelico sparuto: provinciale per come ostenta un cosmopolitismo da Lonely Planet, vuoto per quanto rigurgita di sé. E ne rigurgita tanto da tracimare sui poveri personaggi, tutti costretti a pensare e parlare allo stesso modo (quindi il suo) in un incessante e noiosissimo soliloquio corale. I personaggi di Tabucchi monologano anche quando dialogano: il registro è unico e collettivo, una sorta di monoprix linguistico incurante delle differenze sociali e culturali con cui l’autore tenta di differenziarli – per giunta goffamente (vedi il militare ungherese che chiama “onorevole” un deputato ungherese). Personaggi identici perfino per l’approssimazione sintattica e lessicale con cui si esprimono, una prosa velleitaria e sconocchiata che genera frasi incomprensibili (“non si illuda che queste scarpe scalcagnate rappresentino la madeleine delle sue belle ciglia”) e scenette comiche (i cavalli che, poverini, avanzano “frastagliandosi”, per poi disegnare “tangenti di fuga” – che sembra roba di Mani Pulite ma non lo è), in un tripudio di gerundi fuori controllo e similitudini da liceali ansiosi di far bella figura. E, quel che è peggio, in un giocondo convivere di narrati e narratori tutti al passato remoto, col risultato che non si capisce mai chi stia raccontando cosa.

Pensa che strano, caro lettore: nelle ultime pagine Tabucchi ringrazia ben tre persone per aver “trascritto” questa roba. Buffo, visto che per scriverla è bastato nessuno.

Articolo di Sergio Claudio Perroni del 13 febbraio 2010 per Libero

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