Scurati, tuttologo da bar

È vero, caro lettore: il libro di Antonio Scurati che hai in mano, Gli anni che non stiamo vivendo (Bompiani), è forse l'unico in cui questo strano autore non abbia infilato scene di efferatezza tanto sconnesse quanto gratuite. È dunque un'autentica rarità editoriale; sarà per questo che l'editore chiede una cifra così esorbitante (€ 19,50) per le 299 pagine con cui Scurati tramuta in capitoli di saggio i suoi articoli di giornale (quelli, per capirci, in cui egli da un lato si straccia le vesti per l'ignoranza degli studenti universitari e dall'altro produce perle somare come "vogliamo che le immagini giustificano la nostra fede in esse"). Ma se è la rarità a determinare il prezzo, allora questo libro dovrebbe costare almeno il triplo, visto che esprime una stentorea vacuità pressoché unica nel pur scalcagnato panorama intellettuale italiano. Sembra di leggere le invettive di un tuttologo da bar, uno di quei rancorosi pontificatori che hanno da ridire su tutto ma che al momento di schierarsi restano furbamente abbarbicati a un nulla dialettico fatto di ovvietà e banalità.
Scurati, per dire, deve la notorietà mediatica non tanto ai suoi bigi romanzi (ectoplasmi narrativi fiacchi di forma e scarsi d'anima) quanto a un paio di piazzate in TV, cioè proprio a quel "frastuono televisivo" che si affanna a deprecare. In pratica, egli sputa nello schermo in cui mangia (e mangia doppiamente, visto che un'università l'ha preso a insegnare una materia che pare inventata da Nanni Moretti: "Teoria e tecniche del linguaggio televisivo"). Però sta molto attento a sputare con traiettorie generiche e perciò innocue, fulgido rappresentante di quel moralismo facile facile, di quel demoralismo qualunquistico che di solito furoreggia negli scompartimenti di treno. Il tutto con una lingua che mira in alto e ruzzola in basso, sintesi perfetta dell'ambizione culturale tradita dal corredo intellettuale, oscillando tra una petulanza da autodidatta a dispense (è tutto un "come scrisse Tizienstein", "come ha detto Caievich", "come osserva Sempronijk") e un buffo lessico da apprendista sociologo, con paroloni a vanvera (vedi l'uso di "orbitale" sperando che significhi globale), spassosi neo(il)logismi come "sovramotilità" o "saponificanti", e scempiaggini in cui non si capisce se a soffrire sia più la lingua o la logica ("da sempre l'umanità ha preso atto della realtà delle catastrofi soltanto quando erano già accadute").
Ma questa prova "saggistica" di Scurati, caro lettore, ha un pregio impagabile: fa rimpiangere i suoi romanzi. Un miracolo che 20 euro li vale tutti.

Articolo di Sergio Claudio Perroni del 12 giugno 2010 per Libero

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