Lidia Ravera scrive frasi corte. In questo libro. Che si intitola A Stromboli (ed. Laterza). Frasi corte sul serio. Quattro, max cinque parole. Tipo Ilvo Diamanti, sociologo sincopato. Tipo chi ha problemi con la sintassi. E vuole andare sul sicuro. Soggetto. Predicato. Complemento solo in casi eccezionali.
E fa bene. La Ravera. Perché quando si distrae e allunga la frase, le scappano questi capolavori di spigliatezza espressiva: "Lo sparuto gruppetto dei partenti si distingue dal gruppo degli spettatori della partenza degli altri perché, in terra o appoggiati alle gambe, tiene pacchi e bagagli" - dove, oltre al risucchio di senso, si prova un amabile ribrezzo per le sputazzate di tutte quelle p.
Perciò preferisce attenersi alla frase stitica. La Ravera. Pensando che faccia molto Fallaci. O molto Hemingway. Invece fa molto poesie di Bondi. Senza gli a capo. Frase stitica e contenuto secco. Qui così secco da risultare irreperibile. Tipo: "Il tempo personale contiene la crudeltà del flusso. Scorre via. Il tempo. Time. Il tempo/time."
Perciò ti rompi subito le balle. Tu lettore. Ti viene da chiudere il libro e scaraventarlo nel cestino. Ma faresti male. Perché ti perderesti le impagabili zaffate di bovarysmo della Ravera. Che ci tiene a far sapere che lei quando va al mare legge Proust, Freud e Hegel. Anzi: "finalmente" Hegel. Ti perderesti i suoi teneri tentativi di fare Erri de Luca. Di sferrare verità vertiginose nate dal vivere conradianamente. Solo che lui sentenzia dall'aver scalato montagne a mani nude. Lei dall'aver trekkeggiato su un'isola fighetta. Quindi le vengono solo banalità da avventura in erboristeria. Tipo: "la natura, diversamente dalla cultura, non ha regole". Tipo: "nulla è permanente, nemmeno una casa, nemmeno le cose, nemmeno la vita umana".
Ma ti perderesti soprattutto le sue comiche ostentazioni di superiorità. Il disprezzo per il "popolo agostano". Il leggero schifo per corredi plebei quali cellulari, souvenir e contemporaneità. La pulsione elitaria di questo svenevole peana. Intonato non a Stromboli ma a se stessa e a una cerchia di strombolani. Snobistico elenco di nomi propri e vite chic. Che somiglia molto a un pegno per affrancarsi dal sofferto status di parvenue dell'isola. E accreditarsi presso i suoi colonizzatori (gli indigeni no, per carità: "hanno qualcosa di selvatico, di scuro"!). Colonizzatori che la Ravera proclama "vera aristocrazia" di Stromboli. Anzi di Itaca, come la ribattezza pur di darsi dell'Ulisse. Un Ulisse che però parla dei "due tempi" della risacca. Rivelandosi penosamente digiuno di mare. Nonché di lingua. Poco adatto a Stromboli. Molto a Fregene.
Articolo di Sergio Claudio Perroni dell' 8 agosto 2010 per Libero