Stona il Liga in versione poeta? Mai quanto Merlini-Lamarque-Zeichen-Magrelli in versione Re Magi

Luciano Ligabue, di professione cantante, ha presentato in dirittura natalizia il suo esordio poetico. Gliel’ha pubblicato Stile Libero, marchio giovanilistico dell’editore Einaudi; con un titolo, Lettere d’amore nel frigo, da cui trasuda l’ipocrisia del poetastro di lusso, che pur di schiaffare in copertina la parola “amore” (infallibile abracadabra accalappia-lettrici) la riveste d’astruso, così non rischia di sembrare Crepet.
Ma il rischio sventato in copertina riaffiora prepotente nei testi, che si dibattono tra vignette da diario per adolescenti dal tatuaggio facile (“la apro io | la tua valigia | e ti mostro | che dentro | c’erano solo | un paio di farfalle | dure a morire”) e paradossi corti di senso come sogni interrotti (“come fanno a sbagliare | così tanto a indovinarvi?”); tra ruffianate da capoclasse furbino (“e pensare che | qualcuno | ha potuto | abbinare alle mine | il verbo brillare”) e slogan che, senza l’etere della musica a tenerli su, precipitano nel ridicolo (“non c’era bisogno | di fare pace fra noi | quando la cerea spianata frontale [?] | confermava che le guerre | erano tutte inventate”).
Né giova all’insieme il registro di rude schiettezza che, fatta la fortuna del Ligabue da stadio, il Ligabue letterario cerca qui di riproporre. Non giova perché il silenzio della pagina ne svela tutta la fragilità di atteggiamento studiato, di trucco pronto a screpolarsi alla prima stecca sintattica o lessicale, inevitabile quando la semplicità espressiva è un programma anziché un dono. Ecco allora l’irritante stridio di congiuntivi reclutati solo per rimpolpare versi scarsi di sillabe (“vero come che l’acqua | non abbia niente in rima”); ecco svisate auliche così stonate (l’“indaco anomalo d’aura”, la “falcidiata d’accento”) da sembrare inconsci colpi di pedale con cui pompare significati sgonfi; per non parlare di certe pruderies, sconcertanti in bocca a un ispido rocker di Correggio (“bisognerà fare qualcosa | che coi genitali a mollo | la gente si fa nervosa”) o di certe facezie, vapide in bocca a chiunque (“non sono venuto | a perdere tempo | dal rubinetto”).
Ma quello che più sconcerta, trattandosi dei versi – sia pure a cappella – di un cantautore, è la cacofonia ostinata che li percorre. Specie quando il Liga, sempre per gabellare da semplicità le scorciatoie, si affida al verso libero. O meglio anarchico, visto che la sua unica regola è infischiarsene di punti, virgole e qualsiasi scansione ritmica possa evitare all’a capo di sembrare un incidente tipografico – e al diavolo se, così facendo, il già poco da capire diventa del tutto indecifrabile (“hai capito | che il tuo posto non era nei posti | era dove dicevi ecco | mentre di casa | non ce la facevi a dire”).
Peccato, perché le rare volte che Ligabue accetta di dare un minimo di disiciplina al verso, di irreggimentarlo con qualche parvenza di metro e rima (“ci sono suicidi | da mezzo minuto | e altri che sono | bengala d’aiuto | conosco qualcuno | suicida da anni | deciso nel tempo | deciso nei panni”), non solo rivela finalmente l’orecchio del buon musicista, ma riesce perfino a ricordare De André. Quindi, almeno per la proprietà transitiva, ad assomigliare a un poeta.
Somiglianza che invece – sempre per restare in clima natalizio – vien meno ai quattro aedi laureati Lamarque/Merini/Zeichen/Magrelli, i quali, sotto il geniale titolo di “buone strenne”, hanno simpaticamente elargito un omaggio in versi ai lettori di Tuttolibri. Paccottiglia rimereccia che andrebbe trascritta e commentata riga per riga; ma siamo a Natale, appunto, e la misericordia è d’obbligo: ci limiteremo dunque a citare l’unica bella trovata (il “reputando Dio un arto fantasma” di Magrelli) e a riportare per intero solo lo sconcio della Merini, che più degli altri si commenta da sé:
“È Natale | passa il vecchio | un po’ rubicondo, | la gerla piena. | Pensa solo ai bambini,… | ma ad un tratto | gli cade un libro | che va sopra la neve. | Il vecchio ha dimenticato la fame: | la fame di cultura!”
Se le cose stanno così, meglio digiuni.

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Nella capanna
versi di Ligabue.
Alda asinello?

Articolo di Sergio Claudio Perroni del 22 dicembre 2006 per Poetastri.com

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