Che cosa può regalarsi un uomo che ha già tutto? La risposta varia a seconda di latitudini e attitudini personali. È notizia freschissima, ad esempio, che il magnate Abramovich abbia deciso di concedersi un’ascensione al Kilimangiaro, fallendo purtroppo nell’impresa (sempre più simile a una parodia di Hemingway, in questo suo alternare slanci eroici e inevitabili fallimenti sulle montagne d’Africa). Tuttavia, siccome all’occorrenza bisogna saper essere provinciali, è giusto dire che anche in Italia possiamo assistere a sforzi del tutto analoghi: stessa insoddisfazione per quanto ottenuto, stesso bisogno di provare a se stessi e agli altri il proprio valore, stessa difficoltà a ottenere risultati accettabili in territori tanto diversi da quelli che hanno regalato la pubblica gloria.
Stiamo parlando di Sergio Zavoli e del suo ultimo libro di poesie (La parte in ombra, Mondadori). L’attuale presidente della Commissione di vigilanza RAI ha avuto una carriera lunga e costellata di successi. Evidentemente preoccupato di far sapere che non è tutto oro ciò che luccica, che anche lui ha i suoi bravi momenti di emozione e commozione di fronte al mondo nel suo più ampio manifestarsi – perché c’è vita anche fuori dai corridoi della RAI, dicono – il celebre giornalista da qualche anno si dedica anche alla poesia. La sua parte in ombra, si presume.
Certo, l’uomo di potere che scrive poesie suscita diffidenze, il pensiero corre fino a Nerone e alla sua lira. Ma Zavoli si spende con molta generosità al fine di rassicurare il lettore circa le proprie attitudini poetiche, sbandierando vari quarti di nobiltà letteraria. Tra dediche, rievocazioni e nostalgie per il tempo che fu, vengono nominati, tra gli altri: Montale, Luzi, Bo, Gatto, Zanzotto, Risi e il Caffè Giubbe Rosse (oltre a Fellini, che proprio un poeta tradizionale magari non era, ma solo perché dietro alla macchina da presa era difficile andare a capo). C’è bisogno d’altro? Qualcuno potrebbe dire che sì, ci vorrebbero le poesie. E qui cominciano i guai. In principio di libro, si riesce a scivolare via veloci da certi versi radenti il bucolico e non proprio memorabili (“Vedo che una farfalla dove passa / lascia un’ombra per terra”, “siamo come le rose antiche, / scolorite di profumo in profumo”), ma presto ci si impantana nella palude di affetti famigliari, dove non mancano i genitori, la figlia e, soprattutto, il neo–nato nipote (“Andrea è già qui, / coi suoi piccoli occhi vuol vedere / dove la vita gli ha tenuto il posto”: quasi una completa sconfessione del libero arbitrio, a ben vedere, per il nipotino). Sparse tra i vari testi, inoltre, emergono allarmate segnalazioni di distrazione collettiva, oggigiorno così tipica: “Tra gli orrori umani nessuno / più ricorda le grida delle tribù”, “Patria, non hai più chi ti nomini, / il tuo nome è perduto”, “Nessuno più rovescia le clessidre”.
Un raro momento di ironia (“Quante volte interrompi il tuo discorso / dicendo «in conclusione», / prova a dirlo all’inizio, / vedrai come s’impenna l’attenzione”), ed ecco la sezione più dura da digerire, intitolata Versi civili. Si passa da Cernobyl alla strage di Beslan, dai bambini–kamikaze imbottiti di tritolo all’Iraq (ma c’è anche una poesia dedicata alla vedova Calipari). Temi di grande impegno, che servono più che altro a introdurre il Tema Civile per antonomasia: “Mi era venuta incontro una sequela / di sillabe spezzate in tanti punti, / co sti tu zio ne, / una storia strappata alla sua voce; / ho stretto la parola con un dito / e ha ripreso il suo canto”. In Italia, si sa, non esiste patente di civismo più efficace del richiamo alla carta costituzionale. Basta la parola: e subito le poesie (i saggi, i romanzi, gli articoli di fondo) si fanno civili. Ma Zavoli sa andare oltre: “Non sono per ridurre alla purezza le parole, / questo sentirmi ancora di sinistra / oggi prova soltanto una certezza: / io sto come nel frutto il suo sapore”. Sono versi che meriterebbero l’attenzione di esegeti zavoliani più esperti: l’Autore reputa dunque di essere colui che conferisce gusto alla sinistra? O la sua appartenenza politica è da ritenersi naturale come è naturale che un frutto abbia un proprio inconfondibile sapore? E non è che poi questo sapore farà la stessa fine delle foglie d’autunno dell’albero di Ungaretti, velatamente richiamato? Sono questioni gravi, che andrebbero risolte, pena il possibile blocco dei lavori della Commissione di vigilanza. In fondo, Zavoli occupa un rilevante ruolo di garante di tutte le parti politiche.
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In ombra o no.
Vigile in Rai,
quando verseggi
andresti vigilato.
Articolo di Stefano La Notte del 17 agosto 2009 per Poetastri.com