A un primo ascolto sembra di sentire l’appello in una classe di piccoli Sioux: “Sirena del deserto | Mare incendiato | Corpo santo | Anima ribelle | Specchio dell’amore.” E in effetti continua a sembrarlo anche dopo un secondo e un terzo ascolto: “Profumo d’amore | Casta bellezza | Muto desiderio | Paziente attesa | Ardente ricompensa.” Manca solo un bell’augh finale, ed è perfetto per gli annali del Little Bighorn, tra Cavallo scosso e Alluci zebrati.
Il fatto è che il grande capo Sandro Bondi (nome che in lingua lakota significa “Ministro-della-cultura-che-si-diletta-di-poesia”) tratta il verbo come un inutile lusso, una deplorevole intemperanza barocca da confinare nel titolo della raccolta – Perdonare Dio, edizioni Meridiana – e poi scansare quanto più è possibile. A Bondi la frase piace basic: soggetto & complemento; o meglio ancora (visto che pure la sintassi deve sembrargli un’inutile ostentazione) sostantivo & aggettivo: “Casa avita | Calda sicurezza | Misteriosa realtà | Immobile futuro.” Al massimo, ma solo quando proprio non riesce a farne a meno, si concede un participio, che tanto fa più aggettivo che verbo: “Anelato destino | Sospirata felicità | Nera sofferenza | Lapillo d’amore | Pensiero eterno”. Per il resto, il predicato è messo al bando, e con un’ostinazione che sa non tanto di scelta estetica quanto di allergia specifica (come rivela lo stridio di consecutio al primo accenno di costruzione adulta, vedi “Se non vivremo dopo questa vita | Sarebbe meglio non essere nati”).
È chiaro che una simile versificazione in stile ET (“Luna piena | Pungiglione dell’anima | Coscienza dell’universo | Luce umana”; “Povera Turandot | Pietra scavata | Dolce Liù | Umile incendio | Gemelle d’amore.”) non porta alcun vantaggio né di suono né di senso – e, conseguentemente, nemmeno di lettura. Difficile infatti ravvisare qualcosa di melodioso in abbinamenti sconocchiati quali “Insuperbita volontà | Libertà predeterminata” o “Presente d’amore | Doloroso presentimento”; altrettanto difficile cavare senso da sgretolature astratte come “Infiniti vuoti | Vertigine del nulla | Pastura dell’angoscia | Cima della vita | Verità dell’amore.”
Né le cose migliorano nei – fortunatamente scarsi – componimenti a sfondo erotico, visto che proprio lì dove più dovrebbe affiorare la sensualità, più si inabissa il senso: “Corpi che combaciano | Desiderio di trasfusione | Oscena intimità | Oblio del nulla”, o “Coppe di pianto | sacra memoria. | Poppe di miele | stelle fisse. | Seni d’oro | tuffo immortale” (sempre che la logica di questi ultimi versi non risieda nella loro maliziosa contiguità con quelli, castissimi, dedicati a Veronica Berlusconi).
Paradossalmente, l’animo davvero poetico di Bondi si rivela solo al di fuori del suo rachitico impianto versicolare. Per esempio in certi accostamenti così belli da riuscire ad attutirne l’eco pellerossa (“Cielo capovolto”, “Vita riversa”); o nello strano tic che lo porta spesso a confondere generi genitoriali, come in “Tenero padre | Madre dei miei sogni” (suggestione apprezzabile solo sforzandosi di ignorare che il dedicatario è Veltroni) o nel “Dolcissimo Padre” riferito a “Mia moglie Gabriella”.
Degna di menzione la trovata del prefatore Davide Rondoni, il quale, dopo aver divagato per tre pagine su quattro, si dedica finalmente ai versi di Perdonare Dio sostenendo di cogliervi “l’ultrasuono dell’estrema invocazione”. Una preghiera, grande capo Bondi: nelle sue prossime produzioni in versi, riduca le frequenze; o almeno accluda al volume il radar di cui ha dotato Rondoni. Così potremo apprezzarla anche noi, senza darle del poeta per cani e pipistrelli.
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Versi poetastri,
animo di poeta.
Perdonare Bondi
Articolo di Sergio Claudio Perroni del 16 giugno 2008 per Poetastri.com