Uno dice: «Già, perché non la poesia?»
Da qualche giorno, con l’accanimento ammiccante che ha spesso il caso, gli capita di imbattersi in versi isolati che paiono concepiti apposta per i suoi attuali languori esistenziali. “E sulla spiaggia umida e netta | un nome, da infiniti anni obliato | scrive la punta della baionetta” (terzina di Saba che, recitata da un giovanissimo Gassman, si sprigiona fra due brani heavy metal dal CD di un amico scrittore); “…e poi quel limbo di star fermi al mondo…” (endecasillabo folgorante che lo agguanta da quel tripudio di poesia de-formattata che è la prosa di Pasquale Panella sulle pagine del Foglio); “le canne di camino contengono mondi, e soprattutto cani che abbaiano in lontananza” (distico anonimo che trova incorniciato nell’ufficio di un’editrice milanese)…
Di poesia non ne frequenta da tempo, ma ricorda quanto basta per sapere che non è affatto noiosa come sembrava a scuola, né sdolcinata come sembra a chi non abbia un amore. Soprattutto è incantato da come, forse anche grazie alla vacanza dal contesto, i versi randagi in cui si imbatte riescano a risolvergli fulmineamente un pensiero o a incarnargli un’emozione: con la densità dell’epigramma, l’energia di un verdetto, la memorabilità di un motto. Sicché, eccitato come un Don Giovanni che rammenti a un tratto l’esistenza di un nuovo paese da cui attingere per rimpolparsi il catalogo, dice appunto: «Perché non la poesia?». Ed è proprio verso gli scaffali di poesia, che stavolta si dirige appena entra dall’abituale fornitore di pensieri altrui.
Memore del leggendario scempio perpetrato dai traduttori sui versi della Dickinson, preferisce orientarsi verso la poesia italiana. Lo attira, fra le novità, la foto di un autore che si è fatto ritrarre in copertina nonostante la disarmante somiglianza con il povero Marty Feldman. Edoardo Sanguineti, Il gatto lupesco, poesie 1982-2001.
Apre a caso.
“Ahi, acri abissi, astruse apocalissi, | bisce bisex, bavose & brontolose, | chi in chiave crede crudi chiodi chiede: | demonio dotto è docile decotto, | esulcerato, ecco, è l’ente eccitato, | franto è il fragile femore &, frattanto, | gelosa è gola gotica & gommosa:”. Ed è solo la prima strofa. Ri-apre a caso.
“TOrri, TOrtelli, TOtani, TOssine | NIcchiano NIdi, NInnano NInfetti, | NOn NOminando NOtti NOvembrine || CONtrastano CON CONcavi CONfetti | TEste TEatrose, TEnere TErrine:”. “Cataloghetto catalophonico - Extraeccito esoftalmiche endoiconiche, | nonne nasute, nomadi nixonici, | radariste radiotelegrafoniche, || iperbolici ippomani ipoconici, (…) anarcoapocalittici androponici, | jarryjazziste jam jugendstilcroniche:”
Cerca il prezzo sulla quarta di copertina, dove daccapo troneggia la foto dell’autore, stavolta però a tutta pagina. Venticinque euro. Ri-apre a caso.
“Natura: ma la materia stessa: natura di cose è nascimento: niuno incominciamento: | e gli uomini: niuno incominciamento ebbe: nascimento di esse: e gli uomini | sfogano: ella è: sfogano le grandi passioni: in certi tempi: è per sua propria | forza: dando nel canto:” e via di seguito per un’altra trentina di “versi”.
Gli tornano in mente i tempi dell’università e le parole di un poeta vero, Robert Frost: «Scrivere in versi sciolti è come giocare a tennis senza rete», commentate da un altro poeta vero, Bartolo Cattafi: «Giusto, ma l’importante per lo spettatore è veder giocare come se la rete ci fosse”». Sciolti o non sciolti, questi di Sanguineti gli sembrano piuttosto versi giocati direttamente senza palle.
Poi, sul risvolto, ecco spiegato tutto: “Negli ultimi vent’anni di attività poetica, Edoardo Sanguineti ha scritto poesie cartolina… poesie travestimento… poesie gioco…” Poesie e basta no. Nemmeno una.
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Sanguineti verseggia.
Parole in libertà –
ahimé anche l’autore.
Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 17 dicembre 2002