E va bene, anche quelli di noi più tenacemente arroccati alle illusioni d’infanzia hanno dovuto piegare il capo all’evidenza: l’Albero degli Zecchini non esiste, non più del Campo dei miracoli nel paese dei Barbagianni. L’editore Salani, tuttavia, sembra aver messo le mani su uno specimen botanico non meno portentoso: è l’Albero delle Prefazioni. Questa piccola antologia di Rabindranath Tagore, Hai colorato i miei pensieri e i miei sogni, si apre con un pensiero del cantautore milanese Povia “raccolto da Daniela Gamba” – e se c’è stata raccolta, deduciamo, dev’esserci stata fruttificazione. I più smaliziati obietteranno che si tratta di un calco del francese propos recueilli par, ma a noi piace immaginare la Salani come una fiabesca officina popolata da elfi raccoglitori di pensieri. E sono alacri, questi raccoglitori: ogni volume della collana Poesie per giovani innamorati è introdotto da un pensiero di qualche stella o stelletta del pop nostrano, “raccolto” dal curatore di turno tra i rami del prodigioso albero. Alcuni accoppiamenti sono giudiziosi, altri dànno le vertigini: Prévert/Piero Pelù, Neruda/Daniele Silvestri, o l’ineffabile Shakespeare/Paola e Chiara. Ma a ben vedere una logica la si trova sempre; nella fattispecie basta leggere Roberto Mussapi, che nella seconda delle tre prefazioni (curiosa macrocefalia, per un libretto di ottanta pagine) menziona Walt Whitman, che “apprende a scrivere poesia imitando il canto di un uccello”. Ecco svelato l’arcano: per presentare il cantore della comunione tra uomo e cosmo, chi è più titolato di uno che ha sbancato Sanremo imitando sciamanicamente il verso del piccione? L’appaiamento felice è ribadito da un gioco ermetico di corrispondenze: sul risvolto di copertina troviamo un botta e risposta tra Tagore, Il Giardiniere, e Povia, Evviva i pazzi; e il pensiero-susina è incorniciato tra i versi del poeta bengalese e quelli del cantante milanese: quod est superius est sicut quod est inferius. Sarebbe ingeneroso infierire su un libro che cerca, lodevolmente, di far conoscere ai giovani (sia pure “innamorati”) un maestro; né siamo così spocchiosi da pretendere che possa apprezzare Tagore solo chi si è sorbito l’opera omnia di Mircea Eliade. E tuttavia un dubbio rimane, un dubbio che ruota intorno al dilemma Maometto/montagna in cui è intrappolato il divulgatore: abbassare le “cose alte” al livello del pubblico di destinazione, o piuttosto innalzare il pubblico al livello di esse? Qui poi il dilemma ha un côté spirituale, e l’“alto” e il “basso” suggeriscono risonanze ermetiche: d’accordo, quod est superius..., l’amore umano rispecchia il matrimonio tra l’anima individuale e l’Anima universale (il Re e la Regina di un dramma di Tagore), le effusioni degli innamorati trovano un’analogia nella fusione metafisica; ma tra effusioni e fusioni, il rischio di confusioni è alto. E il rischio è quello di far passare Tagore per una specie di Whitman indiano, di scambiare il contemplativo vedantino che coglie in tutte le manifestazioni dell’amore profano l’impronta di un nesso ontologico con il querulo poeta che convoca il mondo intero perché offra metafore alle espansioni sentimentali di un io ipertrofico. Povia, nel “pensiero” caduto dall’albero, cita persino un imprecisato maestro tibetano. E allora, tibetano per tibetano, noi citeremo il salmo di risposta del santo Milarepa: “La fioritura della divina incarnazione | e la fioritura d’una gioia sensuale | paiono uguali, ma sta attento a non confondere”. Se Tagore deve diventare un repertorio di metafore “naturalistiche” per gli innamoratini di Peynet, tanto vale tenersi le canzonette, che spesso offrono immagini assai più audaci di accoppiamenti mistici e sensuali. Non pensate a Battiato, per carità. Lo stesso Povia, nei versi del suo ping-pong con Tagore, ne dà prova: “Come le zanzare riuscivamo a far l’amore in volo | che scomodità ma che felicità”. Una primizia di tantra entomologico che non trova equivalenti se non nel koan di Umberto Tozzi: “È una farfalla che muore sbattendo le ali l’amore che a letto si fa” (“e tu rimani lì”, commentava l’agnostico Guccini, “e ti domandi se le altre volte non hai sbagliato tutto, o qua e là, nella faccenda; se non c’è qualcosa che ti è clamorosamente sfuggito”).
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Tagore, mantra
per coppie adolescenti:
i bambini fanno “OM”
Articolo di Guido Vitiello del 06 agosto 2006 per Poetastri.com