I puntini di sospensione che crivellano i versi di un Bevilacqua in ristrettezze espressive

…Premessa necessaria: i punti di sospensione presenti in questo articolo hanno valore meramente dimostrativo o documentario. … Altra premessa necessaria: quelli in parentesi sono punti di sospensione originali di Alberto Bevilacqua, come rinvenuti in Legame di sangue, sua recente scampagnata poetica.
I puntini sono quasi sempre indizio di gravi ristrettezze espressive: non per niente infestano insegne di paninoteche, titoli di programmi marzulleschi, temi di alunni delle medie… e costituiscono l’architrave di quel braille per sordomuti logorroici che è il linguaggio SMS. Nella scala dei mezzucci stilistici, essi si trovano fra il doppio eccetera e i bouquet di punti esclamativi (a coppie, a terne, graziosamente intrecciati a punti interrogativi), di cui condividono la recente popolarità dovuta alla credenza che facciano dire al messaggio più di quanto esso dica letteralmente. In realtà dicono solo che chi ha espresso il pensiero puntinato sa di non aver pensato a sufficienza e scongiura il lettore di farlo in sua vece.
Stando così le cose, il lettore di Legame di sangue si ritrova praticamente coautore di un testo furiosamente crivellato di puntini. Ce n’è così tanti, e il senso è così poco, che dopo un po’ sembrano non più reticenze di pensiero bensì enigmistiche “parole mancanti” (che qui, peraltro, sembrano mancare non solo dove indicato dagli appositi puntini: vedi sgorbi altrimenti inspiegabili quali “ricordi | quel qualcosa pari alla vita | che ci faceva dispari nel doppio dove | io ti chiamavo | più fratello che padre, e tu già mi dicevi: | mio altrove?”).
Bevilacqua, come se non bastasse, usa i puntini in un’inedita e grottesca variante “pre-testuale”: a inizio verso (“e all’erta nel pube un lessico | di vene come ramifica un cuore | destinazioni al centro del tuo enigma | …un parlottio di ‘no’, ‘se poi’ | ‘va bene’”), a inizio poesia (“…infine | quando ti penetro”) e perfino pre-titoli (“…Dovrai, un giorno”). Una vera frenesia, addirittura più acuta di quella sessuale, pur così insistita da trascendere in smania (da cui farnetichii come “quando persino la perversione ha un lessico | di osceno e di candore…”, o l’inconsulto ripercuotersi della formula “invito genitale”, o l’onnipresente ninfomania, pur equamente distribuita fra serve e padrone).
Né la pre-puntinatura può fungere da allusione a chissà quali matrici di parole, taciute per pudore, giacché anche il più indulgente dei pudori non troverebbe nulla di più indicibile di piogge “caste”, rigidità “britanne”, anni “segnalati di coda”, ossimori affettati (“nomade stanziale”), ripetizioni sventate (quel “rasoterra” che insieme al suo balengo “etimo di quiete” imperversa in tutto il volume) e altro ciarpame che qui viene invece ostentato senza verecondia. Per non parlare della malagrazia con cui Bevilacqua traduce in nota le espressioni dialettali inserite nel testo (dove l’armonioso “in t’el lei”, per esempio, precipita nel ridicolo di “cercando di far godere soprattutto se stessa”).
Fra l’altro, a proposito di dicibile o no e ricordando che in poesia ciò che non suona non significa, come andrebbero detti (pronunciati? zufolati? ruttati?) questi benedetti puntini? Fossero in coda, sarebbe più facile: una sfumatina all’ultima sillaba, un dimenio delle sopracciglia con ammicco à la Mr. Bean… Ma un pre-ammicco, come lo rendi? “La punta del fallo | greco-romano è mela musetta | che fruscia come velluto e seta | dal palmo della mano a colmare una bocca | … in ogni spazio”: sempre che quest’idea della minchia renetta non t’abbia stecchito, come fai a retroattivare la sospensione? Ci vorrebbe Massimo Ghini, con la sua faccia sempre indietro di un paio d’espressioni. O Ollio, coi suoi incipit gongolati – ma in tal caso i puntini dovrebbero introdurre qualcosa che facesse almeno ridere. Qui, invece, c’è solo da piangere. Specialmente per la sorte di quei rari lampi di poesia cui la versificazione sciamannata impedisce persino di significare, e da cui si salva solo un calzante “parole | di quando non si ha più niente da dire”.
Più che parole, puntini.

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Poeta, Bevilacqua?
… sospensione
della credulità

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 10 gennaio 2004

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