Con la sua musicalità da incidente ferroviario, Mango schiva il premio per il peggior verso dell’anno

Peccato, perché l’esordio poetico del cantautore Mango aveva suscitato molte speranze fra i giurati del PUS. Inutile negarlo: per un concorso letterario, la partecipazione di un outsider è sempre una scintilla destinata a vivacizzare confronti altrimenti prevedibili e perciò noiosi.
Nell’edizione scorsa, per esempio, durante le selezioni sembrava che la conquista del «Premio Ugo Straniero per il peggior verso dell’anno» fosse una partita a due fra soliti noti del mondo poetastro: Renato Minore (selezione Verso Più Ridicolo con: “come una piuma tendo le mani”) e Maurizio Cucchi (selezione Verso Più Becero con: “amo, del resto, questa mia fronte spaziosa”). Poi però irruppe un concorrente oscuro e sbarazzino che, grazie all’imbattibile corbelleria del suo “quando aspirare una vagina era il sogno | più grande di un ragazzo quindicenne”, riuscì a sbaragliare i blasonati rivali e ad aggiudicarsi il premio.
Ci fu ovviamente chi parlò di brogli, chi chiese l’intervento di osservatori ONU, chi annunciò ricorsi sottilizzando fra distico e verso. Niente da fare: l’immortale – e letterale – fregnaccia di Sebastiano Grasso andò comunque a stamparsi sull’albo d’oro del PUS, dove rifulge tuttora nella sua maestà di inconcusso modello poetastro.
Ecco quindi che Nel malamente mondo non ti trovo, giunto in libreria a selezioni quasi chiuse, faceva sperare in Mango un novello aspiratope. Già il titolo, con quella fluida musicalità da incidente ferroviario, prometteva bene. Idem la presenza di corredo iconografico, fatale stigma di carenza espressiva dissimulata a colpi di vignette licenziose o di grandangolate di cereali soleggiati (nel caso di Mango, variazioni sul tema dell’intonaco mediterraneo, preferibilmente scrostato).
Eppure, nonostante tali fausti presagi, la delusione era in agguato.
Perché è pur vero che l’amato gorgheggiatore di Lei verrà produce versi tragicamente percorsi da ciclamini, odore di pane appena sfornato e altre sostanze assimilabili all’anemone (il vento, poi, gli desta sensazioni assai preoccupanti, tipo: “non ho più vento nelle scarpe | ma solo scorza di limone”). E che snocciola analogie incapaci di stare né in piedi (“Come un’essenza che non trova pace | o un sottosuolo che non sa di luce”) e nemmeno carponi (“…sui tuoi silenzi, | appesi come calzini”). E che razzia il Cantico dei Cantici (“quando le mie mani | sono coppe di miele per i tuoi seni”) e sventaglia apocopi da diario di modista (“dormire l’attimo e giurar l’eterno | sottovalutar l’inesattezza | non giusificar giudizi e giudici…”). Ma è altresì vero che si concede qualche guizzo dignitoso (vedi l’“azzurro madonnato d’ogni perplessità” e “gli occhi sono matite su di te | a catturare il tuo profilo”): roba che un aspirante Straniero non dovrebbe mai fare, poiché anche un solo verso decente può comprometterne per sempre la credibilità di poetastro a tutto tondo.
E comunque per scrivere versi da PUS ci vuole ben altra tempra. Quella, per esempio, di chi sappia nobilitare il vuoto assoluto della propria poetica facendone eco di peti esistenziali (vedi: “vivo nel sogno | di una morte immortale” di Andreoli) o civili (vedi: “te lo ricordi Kissinger, il vile | che ha fatto fare fuori Allende in Cile” del musicalissimo D’Elia). Quella di chi riesca a spacciare per sperimentalismo le proprie malinconiche scariche di vecchioporchismo, come il Sanguineti di: “catarro io succio, ma ti sputo sperma: | sudami, a bocca aperta, acque urinose”. E quella infine, ma qui siamo all’eccellenza, di chi porga il nulla ermetico del proprio pensiero con la degnazione altezzosa del dispensatore di perle ai porci – vedi il sommo Gramigna (“È vano chiamarti da un buco senza io | merlo politecnico e lucano”) e il nume Bonaviri, capace di chiosare a mo’ di temi universali i più babbei tra gli affaracci suoi (Titolo: “Assorbenti Tampax”. Nota al titolo: “Il sangue dell’emorragia retinica, sofferta dall’Autore nell’agosto 1994, ha richiamato a Bonaviri il gocciante sangue mestruale”).
Insomma, amico Mango: scrivere versi di merda non è sport da signorine.

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Stecche a volontà
ma non a sufficienza,
Mango a cappella.

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 15 gennaio 2005

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