Stradotto da Sampietro, Charles Wright finisce al tappeto

Ciò che mi ha colpito, quando una traduzione di Luigi Sampietro, pubblicata recentemente da Ventiquattro, ha attratto la mia attenzione, è stato il titolo. Tradurre “Nothing is written” con “Niente è ancora scritto” certamente colpisce, e se non avessi notato altre incongruenze, di varia gravità e natura, nel prosieguo di questa infelice versione italiana di una poesia di Charles Wright, avrei pensato che l’intenzione di Sampietro fosse proprio quella di colpire, di provocare, di scioccare, di imporsi come il Damien Hirst delle traduzioni.
“Niente è ancora scritto” dà l’idea di qualcosa che potrebbe essere stabilito definitivamente, sebbene ciò non sia “ancora” accaduto. Con “Nothing is written”, al contrario, Wright trasmette subito al lettore l’idea dell’infinita mutabilità delle cose: niente è stabilito definitivamente. E nessun dettaglio lascia intendere che questa certezza assoluta – che poi è la certezza dell’incertezza – possa essere in qualche modo messa in discussione.
La convinzione che il “titolo shock”, lungi dall’esser tale consapevolmente, sia frutto quantomeno di un’incauta scelta volta a soddisfare un’esigenza eterogenea (“Niente è ancora scritto” suona forse meglio di “Niente è scritto”?), matura leggendo il testo tradotto, dove affiorano altre incongruenze; e, come accade alla suspense dei gialli più avvincenti, raggiunge il culmine nel finale.
“The stars will lean down and stare from their faceless spaces” si trasforma in “Le stelle guarderanno giù fissandoci da quei loro spazi senza faccia”. Sampietro ignora il suggestivo “chinarsi” delle stelle. Immagina poi che le stelle ci fissino, ma nell’originale l’oggetto del loro fissare non è espresso. L’omissione dell’oggetto è una scelta ben precisa da parte dell’autore, che può sottolineare un distacco, una contrapposizione tra “noi”, il soggetto col quale inizia la seconda parte della poesia, e le stelle, che orientano il proprio sguardo fisso verso il basso dai loro spazi senza faccia, quindi freddi, alieni, distanti. Una cosa è avere lo sguardo fisso di chi guarda nel vuoto, ben altra è guardare intensamente qualcuno. Costituisce arbitrio di non poco conto decidere che le stelle “ci” fissino.
Potrebbe una visione antropocentrica dell’universo da parte del traduttore valere come attenuante per l’esercizio di così grave arbitrio? La risposta è no, perché tale visione antropocentrica, se mai sia esistita, si dissolve comunque nel corso della traduzione, di fronte, ironia della sorte, a un lembo di neve (“…its footprint like a slice of snow | torn off over Mt. Caribou”). Lembo di neve che non si è affatto staccato come sostiene il traduttore (“…simile a un lembo di neve | staccatosi per rinascere altrove”): è stato asportato. Il verbo “tear off” non è, tipicamente, un verbo riflessivo, e interpretarlo come tale è veramente una forzatura.
Il testo italiano si trasforma poi in traduzione completamente libera, stabilendo un nesso tra il distacco del lembo di neve e la motivazione per cui sarebbe avvenuto: “staccatosi per rinascere altrove”. Nesso causale che nel testo di Wright, semplicemente, non esiste.
L’equivoco nel quale incorre il traduttore, secondo cui a cercar di rinascere altrove sarebbe il lembo di neve – e non “noi”, come intende l’autore e detta la logica –, è stato probabilmente indotto anche dalla convinzione che il lembo di neve abbia avuto in qualche modo un ruolo attivo, staccandosi autonomamente e assurgendo inspiegabilmente al ruolo di protagonista assoluto della vicenda; nello stupore generale.
Leggendo con attenzione i versi tradotti, tuttavia, tale stupore risulta ingiustificato. Era infatti inevitabile che il lembo di neve rubasse la scena ai veri protagonisti, visto che Sampietro li aveva già messi K.O. riservando loro “occhi pesti” e “bocca storta” (“e domani al mattino, con gli occhi pesti e la bocca storta”): fisionomia da pugile stramazzato, sorta di paresi facciale lì dove, nell’originale, quegli stessi occhi e bocca erano tutt’al più – e con termine non a caso ripetuto – “contratti” (“pinched mouths and pinched eyes”).
Lascio giudicare al paziente lettore di queste righe chi e cosa rimanga al tappeto dopo prestazioni di così alto livello.

 

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Da Walcott a Wright
le forche sampietrine:
bye-bye poesia.

Articolo di Paolo Necchi del 28 gennaio 2009 per Poetastri.com

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