Fan proprio bene i giornali, a mettere in giro questi bei libroni di poesia. Così la gente prende confidenza con la materia, e magari fra qualche mese, quando persino i più somari potranno vantare un principio di alfabetizzazione poetica, si ridurrà il rischio di sfondoni come quello in cui è incorso giorni fa Scalfari nel tirare la volata giustappunto alla collana di Repubblica: “L'Inghilterra sarebbe incomprensibile senza Shakespeare, la Russia senza Puskin e Achmatova, la Germania senza Goethe, la Francia senza Hugo e Baudelaire, gli Stati Uniti senza Auden, l'Europa senza Rilke.” Gli Stati Uniti, dice. Senza Whitman? Macché. Senza Poe? Nient’affatto. Dickinson? Figurarsi. Senza Auden. Come dire che la Svizzera sarebbe incomprensibile senza Nietzsche.
Certo, un simile motore di divulgazione produce anche effetti spiacevoli.
Per esempio il riacutizzarsi di Antonio D’Orrico, che, dopo i narratori, adesso nei suoi fondi di caffè crede di vedere poeti. Per esempio il subitaneo assatanamento degli editori, che, a ridosso di San Valentino, han rovesciato in libreria ben sedici raccolte di poesia su tema amoroso, perlopiù sfornate con incuria filologica e sciatteria formale, al solo scopo di lucrare sulla felice congiunzione fra la perenne indispensabilità dell’amore e la repentina voga della poesia. Per esempio quelli che si sentono autorizzati a disquisire in poetichese per il semplice fatto d’aver ricevuto gratis col giornale “il libro di Montale” – come la studentessa che l’altro giorno, brandendo il suddetto volume fresco d’edicola, definiva ampollosamente “al tempo stesso allitterazione e ossimoro” la sciagurata scritta “è rigorosamente richiesto il silenzio” schiaffata da qualche pievano ebete all’ingresso della Cappella di San Geminiano a Modena (cioè di uno dei più poderosi convettori mistici del mondo cattolico).
Si tratta comunque di effetti collaterali di ben poco momento, se paragonati ai miracoli che può compiere l’esposizione alla poesia. Chi mai avrebbe immaginato, per esempio, che il sempre più imbolsito Corriere potesse ritrovare qualche sprazzo di leggibilità? Eppure è successo: grazie all’uscita del volume di Montale – foriero di un milione di copie – s’è visto costretto a sottrarre intere paginate al cicaleccio in morte di un campione farmaceutico e ad affidarle alla prosa del poeta Raboni, uno dei pochi che lì dentro scrivano ancora in italiano.
Certo, inutile illudersi che la lettura di versi quali “I bambini sono teneri | e feroci. Non sanno | la differenza che c’è | tra un corpo e la sua cenere” possa migliorare la produzione dei poeti dell’ultim’ora.
Se infatti vi chiamate Silvana Giacobini, e in pieno Terzo Millennio avete il coraggio non solo di concepire, ma pure di scrivere, e persino di giudicare pubblicabile, e addirittura di farvi pubblicare (grazie alla garbata deferenza della casa editrice della RAI e al misterioso contributo del” magliettificio Guru”) roba che suona così: “L’amore e la bellezza | vengono e passano | come | il batter d’ala | di una bianca colomba | che dispare” e così: “Dettati dal vento | per volare col vento | sono i pensieri | su questo foglio | come farfalle trafitte”; e per voi far poesia significa coniare frasi sdolcinate e spedirle a capo a ogni pie’ sospinto; e le sole rime che riuscite a partorire sono accidentali e infestano la prefazione (sette desinenze in -one in sette righe, con simpatico effetto di prosa baciata); e l’unica cosa vagamente poetica che riusciate a produrre è un’epigrafe terribilmente in odor di Montale (SG: “Muoio | e non mi sono accorta | di vivere”; EM: “Fu viva almeno un attimo | e non se n’è mai accorta”) mentre tutto il resto reca vistose tracce di Anonimo dei Baci Perugina – allora state pur certi che nessuna esposizione per quanto intensiva a Quasimodo, Kavafis, Eliot o Neruda riuscirà mai ad aiutarvi a scrivere vera poesia.
Però potrebbe fare un miracolo di grado leggermente inferiore e di utilità sicuramente maggiore: potrebbe aiutarvi a lasciar perdere.
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Si mette a far versi
Silvana Giacobini.
“Chi?” “Esatto.”
Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 21 febbraio 2004