I versicoli da diporto di Harold Pinter, o del come sprecare un Nobel

In pratica funziona così. Per prima cosa, prendete un Nobel per la letteratura. Però attenzione: dovete sceglierlo tra gli autori che il Nobel l’abbiano ricevuto per meriti di prosa, non di poesia – ché altrimenti son bravi tutti. Vanno bene autori di narrativa, teatro, critica, memorialistica circense… qualunque cosa, purché non poesia. Diciamo teatro, ecco, giusto per comodità.
Individuato il soggetto – che, sempre per comodità, chiameremo Harold Pinter – chiedetegli se nella sua lunga carriera di letterato non sia capitato anche a lui di buttar giù qualche poesiola. “Perché sai, Harry, all’Einaudi ci siamo accorti che, a furia di pubblicare ciarpame, la nostra collana di poesia ha perso un po' di smalto, e una cosuccia in versi firmata da un Nobel sarebbe un vero toccasana…”
Il povero Harry, ovviamente, cadrà nella trappola. E vi cadrà perché in natura non esistono organismi intellettuali in grado di resistere alla tenia poetastra; quindi persino lui, il crudo Pinter, l'intransigente Pinter, il prosaicissimo Pinter, nel corso degli anni avrà allevato in seno qualche manciata di versicoli da diporto; e a quel punto si precipiterà in soffitta per rastrellarli dal fondo di un baule e affidarveli con virginale trepidazione affinché, abili negromanti editoriali quali siete, glieli tramutiate in poesia. C’è poco da fare: uno può aver scritto i romanzi più belli del secolo o concepito i drammi più geniali dell’universo, ma quella di pubblicare un bel tometto di poesie – magari nella prestigiosa “bianca” Einaudi – è prospettiva capace di vellicargli l’ego come a un qualsiasi bancario convinto di essere l'Aretino.
Incassato dal povero Pinter il suo bel malloppo di versi, il più è fatto. Ma il vostro compito di scaltri sgherri di un editore senza scrupoli non è terminato. Quello che avete in mano, infatti, è il frutto versiforme di un'accozzaglia di umori distillati nell’arco di decenni (due e mezzo, nella fattispecie: dal 1950 al 2006); il che significa che a questa farragine di testi – del tutto sconnessi in quanto mai concepiti per farne opera – bisogna dare quantomeno una parvenza di organicità.
Sembra un problema, ma in realtà è il vostro asso nella manica. Perché voi siete i primi che abbiano osato trasformare in volume questo marasma, quindi avete la  fortuna di potergli dare un titolo. E il titolo, si sa, è un collante capace di tener insieme tutto: cavoli e merende, nozze e fichi secchi, il raro sprazzo degno di un Nobel (“Conosco il posto. | È vero. | Tutto ciò che facciamo | corregge lo spazio | tra la morte e me | e te”) e le restanti cinquanta pagine di sbobba poetastra (“…le ficco su questa verga fetente | tutta intera e poi su e poi su e poi su | la trapasso in lungo e in largo…”).
Vi basterà perciò trovare un titolo pomposamente sconfinato, che abbracci un’area tematica più vasta possibile e così nasconda l’assoluta assenza di un tracciato poetico.Qualcosa con dentro “poesie”, ovviamente (anche per evitare gli equivoci da prosa sfusa del tipo: “Jill. Ha chiamato Fred. Stasera non ce la fa. | Dice che richiama appena poss. | Gli ho risposto (da parte tua) ok, tranquillo.”). E magari con dentro anche “amore”, che non guasta mai e piace tanto alle signore. Ma attenzione: il vostro Nobel è comunque persona severa, nota per le sue scelte politiche coraggiose, per il fiero antimperialismo sempre brandito come da una trincea (pur se comodamente situata nella City e non nel Chiapas). Conviene perciò che il titolo del vostro Pinter sfoggi anche un quid di impegnato, di attuale e dunque di minaccioso… “Guerra”, dite? Ottima scelta. Ma non basta, ci vuole un pizzico di metafisico, magari versante autistico… Ecco, trovato: Poesie d’amore, di silenzio, di guerra. Bello, no? C’è dentro tutto – e dentro può starci di tutto.
E tutto infatti ci sta. Un tutto la cui sostanza poetica e concettuale è condensata nei pochi versi di “Democrazia”, che vi riferiamo integralmente perché non abbiate a perdere nulla del suo struggente lirismo e della sua originalissima forma di denuncia: “Non c’è via di scampo. | Eccoli lì quei cazzi enormi. | Vanno a fottere tutti ciò che incontrano. | Guardatevi le spalle.”

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Lubrico è Pinter
gitante poetico.
Bavonetto

Articolo di Sergio Claudio Perroni del 1 aprile per Poetastri.com

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