Le Costellazioni spente di Aldo Nove

Accesi nella nostra curiosità dai versi che si stagliano sull'elegante copertina bianca della collana di poesia Einaudi ("Perché ci fa paura quando dicono / le pietre cosa siamo ancora prima / di noi"), ci siamo addentrati nell'ultima silloge poetica di Aldo Nove,A schemi di costellazioni. La speranza, naturalmente, era che quella miccia innescasse un fuoco poetico compiuto, dirompente, vero. Nel caso di Nove, si sarebbe trattato di una bruciante novità.

Il libro è ricco di suggestioni artistiche, molte sono le dediche: da Arnaldo Pomodoro a Mimmo Paladino, per citare i nomi più noti. Una nota dell'Autore precisa che il nucleo del testo nasce dal confronto con l'arte di alcuni amici "e in omaggio a maestri defunti". I maestri vengono scritti in minuscolo, anche se talvolta sono maiuscoli davvero (Lucio Fontana, Yves Klein); ma non bastano certo, da soli, a generare il misterioso cortocircuito della Poesia. Né si rivela più utile Marx, nemmeno se brani del Capitale vengono utilizzati per essere interpolati all'interno di qualche sonetto ("il mezzo di circolazione in quanto/essere emesso nella quantità/ artificiosamentedall'incanto/del Capitalenon è l'aldilà"). 
Grandi ambizioni, dunque. Tuttavia una scintilla, magari pure artificiale, non sempre costituisce un principio di fuoco, come del resto abbiamo presto constatato imbattendoci in versi ossessionati dall'idea di andare a capo in modo da stupire qualche lettore di bocca (molto) buona: "Ma più lontano / l'eco delle parole, / e che non bastano, da / sole / nel sole (...)". Del resto, lo spiega la quarta di copertina: "i fuochi centrali del libro sono la dimensione cosmica dell'esistenza e le ferite dell'individuo che vorrebbe parteciparvi, la fenomenologia del dolore umano, il ruolo dell'arte e della poesia".
Ma il fatto è che il fuoco non pesa granché, e questo non è affare da poco, nel nostro caso: perché nel libro non esiste nulla, davvero nulla, che possa fungere da contrappeso a certi passaggi ingiustificati e ingiustificabili. Prendiamo, ad esempio, il melologo intitolato Parla Persefone, diviso in sei sezioni. In particolare, leggiamo per intero la quarta, scusandoci per il tempo che faremo perdere al lettore che intendesse seguirci fino alla fine: "Ascolta". Ascolta, e basta. Neanche si fa sera. Un solo verso (verso?) isolato in una pagina, così gratuito che persino il povero compilatore della quarta di copertina si è sentito in dovere di precisare che "Il libro alterna forme chiuse e aperte, nel segno di un respiro controllato o tanto ansimante da spegnersi in frammenti di frase, in singole parole alonate di faticoso silenzio". Un'excusatio non petita clamorosa, ma del tutto comprensibile: per cose del genere, a cinema e a teatro c'è chi, giustamente, reclama il rimborso del biglietto. E lo fa ad alta voce, altro chefaticoso silenzio. A parte questo, va sottolineata la capacità di Nove di far sembrarelogorroicoUngaretti, piazzando inoltre ottimi punti nella battaglia per reintrodurre a scuola lo studio mnemonico, integrale, dei testi poetici. Pochi studenti, ne siamo certi, si opporrebbero a consimili sforzi intellettuali. Le fiamme, dunque, si placano un po', anche perché la materia poetica di cui è fatto il libro pare completamente ignifuga.
Ormai forti dell'indispensabile supporto critico della quarta di copertina, apprendiamo inoltre che le parole di Nove "sono sistole e diastole di un unico pulsare, in cui pacata razionalità e delirio sembrano appartenere a una stessa natura poetica". E qui immaginiamo che l'eroico compilatore si sia certamente sentito in dovere di giustificare in qualche modo undici quartine memorabili nella loro sciatteria letteraria ("il dolore dell'inizio / il dolore dell'ospizio / il dolore dell'indizio / il dolore dell'orifizio"). E' verosimile che, di fronte a un prodotto così scadente ("il dolore dell'amore / il dolore del rumore / il dolore del dolore / il dolore del cuore") qualunque lettore appena sensibile abbia, per la prima volta, fatto ciò che non avrebbe mai immaginato di fare: pregare di gran cuore perché si compia al più presto, e per intero, la rivoluzione digitale ("il dolore della mattina / il dolore che sconfina / il dolore della bambina / il dolore della Cina"). Perché è davvero un peccato mortale produrre carta per poi riempirla in modo così inutile ("il dolore della sera / il dolore della bandiera / il dolore della nera / il dolore della pera"). Il dolore è anche quello di sentir chiamare "poesia" l'opera riempifoglio di chi, adolescente, cerca magari di far passare l'ora di filosofia mentre la professoressa interroga ("il dolore delle bottiglie / il dolore delle biglie / il dolore delle stoviglie / il dolore delle triglie"), oppure, senescente, attende paziente il proprio turno dal medico e ha finito di risolvere tutta, ma proprio tutta, la Settimana Enigmistica ("il dolore degli incisivi / il dolore degli ulivi / il dolore degli arrivi / il dolore dei sostantivi"). Il fuoco, se mai si è acceso, pare in fine morto del tutto.
Nessun grande incendio, dunque. Giusto un po' di cenere, questo sì. A ben vedere, non si tratta di una conclusione sorprendente per Aldo Nove, alias Antonio Centanin, figlio di Viggiù. Terra di goffi pompieri, non proprio di veri, consapevoli, incendiari.

––––––––––––

Cuore e dolore,
dolore e amore -
Nove, solo rumore.

Articolo di Stefano La Notte del 6 giugno 2010 per Poetastri.com

Sommario

pus-megafono

Videor

logo_raccapriccio

Sommario

avete-rotto-la-mi

logo_raccapriccio

Sommario

pus-megafono
logo_raccapriccio