Le espettorazioni versicolari segrete di un telesenatore decaduto

Lo dice Maurizio Costanzo, nella prefazione all’attesissimo libro di Ugo Straniero (sì, proprio così: dopo mesi di indicibili travagli, furtivi recapiti di incartamenti e deliranti promesse di edizioni in lingue a lui più estranee persino dell’italiano, i versi poetastri che da mesi liricizzano le prosaiche pagine di Chi hanno mosso il passo decisivo verso l’esistenza almeno libraria del loro autore); dice dunque Costanzo, in quelle ultime e vibranti righe di prefazione: “Il fatto che Ugo Straniero abbia avuto visibilità lo testimonia il fatto…” (la lingua di Costanzo è fatta così, bisogna aver pazienza) “…che reiteratamente una persona, di cui mi sfugge il nome, ne ha voluto mettere in discussione l’identità, abbandonandosi a ipotesi assai poco credibili”.
Sciagurata persona! e giustamente sfuggente il suo scellerato nome! Ché davvero “assai poco” credibile è il confutare, per giunta con l’aggravio della reiterazione, l’identità netta e inequivocabile di chi si proponga con simili versi: “Vecchio, mettiti in disparte. | Congedati. | Hai fatto la tua parte. | Entra nella memoria | e accetta d’essere uscito dalla storia.” D’accordo, la qualità è dubbia; ma l’identità no. Trattasi chiaramente di un compianto poeta “appartenuto alla corrente futurista” e non, chessò, di un decaduto senatore della TV segretamente dedito a espettorazioni versicolari.
Bene ha fatto dunque l’editore Raffaele Morelli ad allegare questo Poesie dell’anima – “cura e prefazione di Maurizio Costanzo” – all’ultimo numero del mensile Riza Psicosomatica, interamente dedicato ai disturbi alimentari. Bene ha fatto perché il suo gesto, in linea con una rivista che si qualifica “di medicina del corpo e dell’anima”, accorda la debita consistenza cartonata a un’identità poetica finora costretta ad affidare i propri versi a labili fogli di rotocalco.
Versi, appunto, un po’ di corpo (“Il telefono tu – tu. | Il campanello drin – drin. | Alla porta toc – toc. | Voglio vederti smak – smak smak | ma sta piovendo ciak – ciak” ) e un po’ di anima (“Una donna che in passato | ho stramato, sì, stramato | si dolea ogni momento | rifutando chi potea | suggerirle un lenimento. | No! No! No! Poi mi lasciò”), ma senza mai perder di vista quelli sfrenatamente anima-&-corpo (“Quando soffro per amore | corro lesto dal dottore. | Ho imparato la lezione: un malanno ad emozione | andata male”).
Proprio a proposito degli ultimi, tuttavia, dispiace che si sia deciso di escluderli da questa raccolta, insieme ad altri di pari levatura. Perché se è giusto lasciar spazio a perle inedite quali “I ricordi ricordano. | Confondono il nuovo Lui | di Lei con l’altro Lui | che ha una nuova Lei | ma pensa alla prima Lei | che dovrebbe allontanare | il nuovo Lui | così che il vecchio Lui…”, col suggestivo sapore teofanico di cotanta maestà pronominale, è invece crudele e insensato negare ai nuovi cultori di Straniero la prestanza lirica di baluardi quali “Come sei triste | ahi ahi | all’imbarcadero…| Per te io scrivo | ciò che non è vero. | Per te racconto | di quel gran mistero | del gatto nero | ahi ahi | il gatto nero all’imbarcadero”.
Ma forse i brani esclusi da questa edizione sono destinati a rimpolpare l’altra, quella che prossimamente arriverà in libreria. Stando alle parole di Costanzo, infatti, Poesie dell’anima seguirà un percorso editoriale eccentrico: anziché debuttare in libreria e solo in un secondo tempo rifugiarsi in edicola, come avviene di solito, questa bizzarra creatura dell’estroso editore di Riza (capace di coniare la surreale formula di sconti “che arrivano a superare il 40%” pur di non confessare i ribassi che è disposto a praticare per raggranellare abbonamenti) farà il contrario.
Nulla vieta, quindi, di sperare che l’edizione “maior”, necessariamente più ricca e perciò veritiera, approdi in libreria reintegrata dei vari imbarcaderi. E, soprattutto, senza più quell’inutile “cura e prefazione” infilato fra il titolo e il vero autore.

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Costanzo in rima
ha gambe cortissime.
Smentite spoglie.

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 26 febbraio 2005

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