I misteri dell'habitus poetastro, tra Cerutti Marocco e l'imperterrito Cucchi

La verità del dubbio, raccolta impoetica di Mariella Cerutti Marocco (Mondadori), è un libro che pare scritto in cinque minuti; si legge in venti; lascia traccia di sé per pochi secondi.
L’unico contributo che la raccolta cerutto-marocchina offra alla poesia è il suo rinverdire gli immortali misteri dell’habitus poetastro. Uno su tutti: per quale motivo le genti poetastre ritengono dotata di dignità poetica la prima cosa che gli passi per la mente, nella prima e più rudimentale forma in cui gli passi per la mente?  Nel caso specifico: cosa induce una persona come MCM – che presumiamo donna altrimenti dabbene e giudiziosa – a pensare che la copertina del suo libro non si macchi di sacrilega menzogna quando definisce “poesie” quelle che, al massimo, sembrano cartoline trasparenti? In tutta onestà, crede davvero di fare poesia quando scrive “Pantofoline rosse di seta | dalla punta aguzza | per camminare soffici | nelle alcove azzurre | di un palazzo ottomano.”? Ed è davvero convinta di aver compiuto una poesia quando immola un’intera pagina per comunicarci che, nell’Elba del titolo,  “Il libeccio soffia impetuoso | alimenta i fuochi dall’isola | fino a notte”? Non si accorge di aver tutt’al più inviato un amabile SMS dalle vacanze? Possibile? Eppure avrà letto anche lei qualche poesia vera, e l’avrà amata. Magari non si sarà chiesta come mai le parole di quel dato poeta siano riuscite a incantarla; magari non avrà indagato su quanta sensibilità e talento e sublime lavoro occorrano per produrre quei quattro suoni – “spore del possibile”, poniamo – che condensano una fiducia così enorme nell’emozione personale da farla deflagrare in emozione universale: però, anche dal fondo di un’estrema superficialità, anche da un abisso di presunzione sfegatata, la signora MCM non potrà essere così sprovvista di strumenti critici da credere poesia il paragonare (estrapoliamo dalle lamiere di un disastroso enjambement) “il rumore delle onde contro il reef” a “quello di un cuore che pulsa forte”; o lo sfoderare metafore così abusate da comunicare ormai solo il tenero senso del proprio ridicolo (“L’involucro si è rotto | non più crisalide | saprò essere farfalla?”). E allora perché non lascia in pace la poesia?
Domanda che andrebbe rivolta ribaltando i termini a Maurizio Cucchi, co-prefatore di MGM: perché la poesia non lo lascia in pace? Perché questa splendida Circe non non gli svela infine il crudele incantesimo con cui da anni ne fa zimbello, illudendolo di concedergli le proprie grazie quando in realtà lo manda in giro con una cugina racchia? Altro bel mistero. Poiché Cucchi, ignaro del sortilegio, procede imperterrito credendosi una fucina poetica – in proprio e per procura. E se da un lato vara come mentore la suddetta gitante poetastra, dall’altro, simultaneamente, firma come autore Jeanne d’Arc e il suo doppio (Guanda). Facile, direte voi: Giovanna d’Arco è una figura così intrinsecamente poetica, che basterebbe ripeterne il nome verso dopo verso, senza aggiungere altro, e sarebbe impossibile non fare poesia. Bene: Cucchi riesce nell’impossibile. Lo fa a colpi di sentenziose banalità (“No, non posso ancora | vestirmi da donna. Non è il mio abito | che cambia la mia anima…”); lo fa costringendo i personaggi a goffi sproloqui (“Sempre ho avuto nel cuore la tua eccezione | fino al sacrificio, | all’impossibile, | a dominare questi… | questi… i cui fiati | ti danno anima”); riesce a farlo persino nei momenti più sublimi, avvelenandoli di cacofonia cinguettante (“Quella luce, la luce delle voci, | non è fuori di te. Le voci | ti chiedevano ardimento, | la luce veniva con le voci, che avevano | un buon odore…”) o tramortendoli di stecche (“Però il suo cuore | era incombustibile…”).
Ma la cosa più buffa è leggere la postilla con cui Cucchi narra la gestazione del suo testo teatrale (!) da cui ha tratto questa smoccolatura versicolare. Buffa perché Cucchi si prende così sul serio da non accorgersi di quanto, gonfiando il proposito, aggravi la tragica inadeguatezza dell’esito. E la Circe della poesia, burlona crudele, lo guarda vantare le laboriose meraviglie del proprio frack senza accorgersi d’essere in mutande.

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Cucchi è la guida,
Marocco l’allieva.
Squola di poesia.

Articolo di Sergio Claudio Perroni del 20 agosto 2008 per Poetastri.com

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