Il preside ha di fronte la petulante fondatrice del Movimento Maestre Contro la Guerra: vuole che la aiuti a scegliere una poesia da intonare con gli alunni come ritornello di un imminente sit-in pro-pace no-global dunque anti-yankee ma non per questo filo-Saddam – e altri nobili attributi muniti di imprescindibile trattino di solidarietà.
La sciagurata sfoggia un berretto di maglia color arcobaleno, che sul suo corpo a ogiva pare la spoletta di una bomba d'antan. Gli allunga con piglio bellicoso un'antologia dal titolo fallacianamente menagramo, riaffiorata nelle librerie in questi giorni di guerra: Ondate di rabbia e di paura – la voce dei poeti dopo l'11 settembre, edizioni Rai-Eri.
Il preside, segreto estimatore di satrapi e cause perse, vorrebbe suggerirle un mantra sul genere “guerra, sola igiene del mondo”. Ma è persona mite, sicché le consiglia la prima poesia che trova – peraltro bella, appropriata, e di Alda Merini: “…dopo gli amori perduti | e l’idea di una pace orrenda, | che forse non spera nessuno | finalmente ecco la guerra | e diciamo finalmente perché avevamo paura | di questa grande bellissima musica | che era la nostra pace. | Ma questa musica supererà anche questo | questa musica continuerà in eterno | Perché noi siamo poeti.”
La maestra non gradisce: teme si presti a pericolosi equivoci. Il preside, pericolosamente equivocando, scarta allora un’ottima Lamarque perché non abbastanza didascalica (“Morti! Morti! | Morti per guerra rispondete! | Dove siete andati? Dove | siete ora? C’è o non c’è | dite, la famosa | vita eterna? Quaggiù | solo eterna guerra, | e là? È gentile | l’eternità?”) e opta per un’apoteosi pompier di Silvio Ramat: “Tutti nel cuore di un solo poema. | Di quel poema che ha nome Occidente. | Saremo, fino in fondo, Americani. | Noi, coll’orgoglio del nostro spavento. | Tu rialzale, Architetto del Mondo, | le due Torri. Non meno alte di ieri | ma più lievi: di fil di ferro e d’aria. | Vuote. E nel vento di quel vuoto ascendano, | aquiloni di un’eterna memoria, | stelle e bandiere aperte come ali | della vostra – ch’è anche la nostra – gloria. | Perché non saremo, mai, neutrali.”
Il sorriso all’idea che esista ancora gente capace di dare dell’“Architetto del Mondo” a Dio gli sfuma fra le labbra vedendo la maestra aggrottare all’unisono fronte e berretto iridato. Giusto: dimenticava l’antiamericanismo di prammatica – che tuttavia è difficile reperire in un’antologia post 11 settembre. Gli torna in mente l’Owen dei Poemi di Guerra tradotti da Rufini e ruggiti da Gassman: “Che provi, il ragazzo, sul filo di questa baionetta | Quanto sia freddo l’acciaio, e assetato di sangue; | Livido d’ogni perfidia come lo sguardo di un pazzo; | E arrotato dalla brama di carne. | Dategli da carezzare questo piombo cieco e ottuso | Smanioso di farsi tana nei cuori acerbi, | O cartucce dai denti di zinco, | Aguzzi come sono aguzze l’angoscia e la morte…”
Ma il rovente antimilitarismo di Owen sarebbe comunque inadatto a scampagnate panciafichiste: ci vuole qualcosa à la De Gregori, generali dietro la collina con annessa notte scura & assassina. Il preside sfoglia quindi la sezione dedicata ai poeti comuni, nomi ignoti cui talvolta si aggiunge la professione: architetti, medici, avvocati, uno “psicomotricista” e persino un sibillino “consulente trasporti”. Sfinito dal grandinare di versi sciancati e riferimenti assurdi – ad Anna Frank, a Caravaggio, addirittura a un film con la Kidman – e dalla crescente insofferenza della maestra arcobaleno, sta per rinunciare; ma lo soccorrono i “Dodici Versi” di tal Franco Grosso, grafico pubblicitario, Biella:“Se bastano | dodici istanti | per morire || Non bastano |dodici secoli | per capire || Non servono dodici guerre | per punire || Né bastano |dodici versi | di dolore.”
La maestra è grata e raggiante: già si vede sbaragliare gli invasori sganciando a nugoli lo “yankee go home” poetico di quell’eroica dozzina.
Nell’accompagnarla alla porta, il preside non resiste alla tentazione di congedarla con l’Agide di Plutarco: “I lacedemoni non chiedono quanti sono i nemici, ma dove sono.”
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Tra bombe e chiacchiere
la democrazia
formato esportazione.
Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 5 aprile 2003