Duecento dissolte pagine di versi senza senso: Morgan, preliceale “che sta c’a fija de Mario Argento”

La commessa che lo accoglie ha l’età di sua nipote. E lo stesso sguardo da cubista annoiata. Eppure, quando le chiede il libro di poesie di Morgan – commissione affidatagli dalla nipote come se fosse questione di vita o di morte –, a lei lo sguardo non si accende. Anzi. “Er cantante che sta c’a fijia de Mario Argento?”
È la terza libreria in cui cerca questo dannatissimo libro: l’ha pubblicato Bompiani nell’ormai remoto 1999, ma adesso la ventilata fine della storia d’amore con la figlia del regista l’ha richiamato in voga; o forse è stato l’appena anteriore parto della figlia del regista, o magari l’uscita in questi giorni di un nuovo CD del poveraccio ormai unanimemente noto come appendice della figlia del regista – da Morgan a morganatico, da Salgari a Dagospia. Fatto sta che, per motivi che nulla hanno a che vedere con la poesia, Dissoluzione, il suo libro di versi è introvabile. Ma ecco che, fra segnalibro astrologici e manuali sapienziali schierati davanti alla cassa in cerca di acquirenti allocchi, la commessa ne ha pescato una copia superstite e gliela porge, tenendola, chissà perché, fra due dita.
Lui la prende, però fa appena in tempo a leggere in copertina il suggello di Battiato (“Un’invenzione a due voci tra Morgan e il suo ideale momentaneo” – sempre suggestivo e sconclusionato), a schivare l’immancabile controcanto di Sgalambro (“Queste di Morgan sono scomposizioni che fa di se stesso un de partibus hominum” – sempre sconclusionato tout court), a immaginare il tasso di stroncatura camuffata che permeerà come sempre l’annunciata prefazione di Ghezzi – e il volume gli si disintegra fra le mani, come se la rilegatura si fosse sfaldata.
Ovviamente sa di doversi ritenere fortunato anche solo ad averne una copia fallata; ma il suo sguardo interrogativo impietosisce la commessa, che si degna di ragguagliarlo: “È fatto così apposta. Perde ‘e paggine. Èppecquesto che se chiama Dissoluzzione”. Ah.
Legge l’attacco della prima pagina dissoltasi: “Hai presente Andy Warhol? | Vorrei che gli altri provassero per me | Il bene che gli ho voluto io | Guardandolo in un film | Hai presente Maradona? | Inizialmente ammirato, poi denigrato | Del resto il calciatore | È quasi come un fiore.” Struggente, e gravido di senso.
Mentre sogghigna pensando al tipo di flora cui assimilare El Pibe de Oro, acchiappa letteralmente al volo un altro brandello poetico: “Sono democratico – Hai ragione! | Sono comunista – Hai ragione! | Sono liberista – Hai ragione! | Sono Leninista – Hai ragione! | (seguono altre quattro quartine secondo lo stesso schema, però con maiuscole ancor più a vanvera) | Sono stilnovista – Hai ragione! | Sono dadaista – Hai ragione! | Sono un traditore – Hai ragione! | Sono musicista – Hai ragione! || Come si fa a cambiare il filtro del carburatore | Se di notte torni a casa troppo tardi e nessuno | che ti insegni del motore.” Del motore passi, ma possibile che nessuno t’insegni d’un minimo di senso?
La commessa, vedendolo in affanno, gli fa notare un’altra geniale peculiarità del volumetto: stando alle istruzioni riportate sul retro in tono da raccolta-punti Rovagnati, il libro “può diventare un poster strappando le pagine a colori”: “Crea strappando le foto l’immagine di Morgan a pezzi”. Accanto, c’è il poster miniaturizzato: l’autore in una posa che si vorrebbe da David Bowie ma che, sempre per restare in tema di maledettismo da tinello, risulta un incrocio fra Brian Ferry e Adam Ant. In uno slancio di obiettività estetica, o forse di lacunose nozioni matematiche, l’autore chiosa così la propria effigie: “Se la bellezza | è il minimo comune | denominatore | allora io sono | un numero indivisibile”.
Consegnati alla cassiera gli otto euro e venti che lei, l’editore e il pre-liceale Morgan pretendono in cambio delle duecento pagine dissolte e dei relativi pensieri dissociati, si allontana cercando di consolarsi con gli ultimi tre versi che ha letto: “Conflitto e contrario, e viceversa | E alla fine ti ricoverano | Affidatemi ai chirurghi.” Sacrosanto.

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Forse si vuole matto
Morgan poeta,
Ma è solo da legare

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 10 maggio 2003

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