Tra lacrime e uccelli, il bambinismo di Claudio Damiani

Claudio Damiani è poeta celebrato. Pubblicazioni, interviste, recensioni, interventi critici sulla sua opera. Perfino un reading al cinema Sacher, ultimamente, con grande accorrere di attori, scrittori e famosi: unanimi nel celebrarne la semplicità e la trasparenza tematica. Vediamo dunque la sua ultima pubblicazione, l’antologia Poesie, pubblicata da Fazi.

Bisogna ammettere che si tratta di una lettura, invero, abbagliante. Perché è un abbaglio scambiare gli pseudopascolismi per acutissima sensibilità: “Qual è il nome di quell’uccellino / che s’è posato ora sul marciapiede / e becca qualcosa dal terreno?”, “Lì gli uccellini stanno facendo i loro nidi, / c’è un gran daffare intorno!” – dimenticando che Pascoli, se non altro, sapeva distinguere e variare tra cinciallegre, fringuelli, balestrucci e calandre. Qui, invece, se non sono “uccellini” sono “uccelli”, sempre e indistintamente: “So ascoltare gli uccelli sui rami”, “Qui c’è solo la vita silente delle mucche / e gli uccelli chiari festosi”, “Gli uccelli cantano, vorrei accarezzarli” etc. Siccome tutto è mondo per i mondi, ignoreremo che il Nostro veda volatili ovunque. “Tu sei venuta come un uccellino / sulle mie mani”, si precisa, appunto, altrove. Non è l’unica: anche “Cesare viene la sera, e si siede sulla strada”, e Cesare, curiosamente, è un cane. 
D’accordo: la semplicità, “la misura di sapere dire le cose che contano” (Ramat). Ma chissà se vale anche nel caso di: “Se ci fosse più silenzio, più feste / più lavorare insieme, tranquilli, / contenti di lavorare insieme, cantando”. Versi, cioè, dove il confine tra il nobilmente semplice e il ridicolo appare largamente varcato (gente che lavora insieme cantando? Magari nei campi di cotone o nelle risaie vercellesi? E davvero il Poeta si farebbe operare volentieri da un chirurgo che lavorasse cantando con la sua équipe?).
Dice: qui c’è “poesia che non divaga e non si distrae in inutili acrobazie stilistiche” (Lippo). Ma la semplicità non è del tutto incompatibile col congiuntivo (“Tu mi chiami / e io ti racconto una storia / poi ho paura che vai via / e ti stringo forte”). E tra l’inutile acrobazia stilistica e certi imbarazzanti incipit (“Fai un lavoro duro, cassiera di un discount”) passa una distanza forse insospettabile, per Damiani.
Si piange parecchio in questo libro. Piangono le montagne, gli alberi (“Quando mi rividero, gli alberi piansero. / Non dovete piangere, dissi loro”), le madri; piange la moglie del Poeta e ci si interroga sul perché lo faccia (“Piangi sopra di me, / nei tuoi occhi non sai tenere le lacrime, / escono le lacrime dalle tue ciglia / e un singhiozzo ti scuote il petto. / Perché piangi? Non piangere, / io non sono morto”). E chissà poi se le lacrime escono “dalle ciglia” grazie a qualche virtuosismo retorico oppure proprio fisico.
Insiste: è semplicità! È poesia “di un’ingenuità consapevole, opposta a ogni scetticismo preventivo” (Pegoraro). Altro che preventivo: “Forse le montagne, vedendo noi che scendevamo, / mia moglie e io, con sulle spalle il piccolino Antonio / (Gio e Domi erano dai nonni), / avranno parlottato tra loro / e si saranno intenerite per la nostra famigliola / nel vederci tutti e tre così piccoli / e fragili”. Al di là del fatto che si era in effetti tutti molto preoccupati per Gio e Domi, resta il dubbio che la poetica del fanciullino venga qui intesa come perseguimento del bambinismo: “Mi hai fatto tanta paura, / ma adesso non ho paura. / Questa strada è piena di fiori, / vorrei fermarmi a raccoglierne ognuno”.
Va bene il riferimento ai classici: ma leggere di foglie che in autunno cadono dagli alberi – e qui è un vero foglicidio – visite alle tombe dei parenti morti, bambini che corrono urlando, non odora di classico: puzza di già straletto. Il curatore e prefatore Marco Lodoli, tramortito da tanta sensibilità, arriva ad affermare: “Confesso di aver talora baciato queste pagine come amiche sincere”. Dovrebbe essere un suggello pubblicitario, oltre che critico. Vorremmo poter chiedere alle amiche di Lodoli come diavolo si sentano a essere baciate come pagine, e se davvero si accontentino così, ma forse è meglio lasciar perdere. Quel che conta è constatare come la prefazione subisca la stessa sorte del testo: per chi ci crede, rappresenterà qualcosa di mirabile e profondo. A tutti gli altri, scapperà da ridere.

––––––––––––

Reading poetastro.
Ci fosse stato Apicella
sai che ceffoni!

Articolo di Stefano La Notte del 31 dicembre 2010 per Poetastri.com

Sommario

pus-megafono

Videor

logo_raccapriccio

Sommario

avete-rotto-la-mi

logo_raccapriccio

Sommario

pus-megafono
logo_raccapriccio