Da Macello, di Ivano Ferrari, composto intorno al ‘75 e pubblicato solo recentemente da Einaudi: “La mimica facciale di chi sgozza | non ha un’origine definita | è un processo ossessivo di tipo umano, | inevitabile che mi tremino le mani | quando gli accendo una sigaretta”.
Versi e titolo del volume si riferiscono al mattatoio dove Ferrari ha lavorato per diversi anni, tuttavia rientrano in un carico di cronaca individuale che già nel risvolto – “un macello che rimanda ad altri macelli” – l’autore promuove a paradigma collettivo. L’operazione, com’è evidente leggendo oggi questi versi, gli riesce con terribile profitto e profonda onestà, senza i triti espedienti della cosiddetta poesia civile. Non c’è niente di metaforico, di figurato, di affettato nella proiezione di Ferrari; l’autore non le concede neppure una variazione di scala: è mero calco di una realtà, che ciascun lettore è libero di calzare sui lineamenti della propria, dove finisce per aderire con la millimetrica esattezza dell’attualità più flagrante: “Cialtroni armati | degli orpelli blandi della crudeltà | guerrieri in tutto fuorché nei lineamenti | affrontano il nihil di un bovino zoppo | che sul groppone ha impresso la “U” | di urgenza.”
Di suo, Ferrari aggiunge solo la poesia – poesia autentica, perciò trasparente come strumento e deflagrante come effetto, impercettibile nel dire e inesorabile a cose dette: “Tutti in fila | nudi | appena sporchi di letame | attendono la perfezione | balbettando proteste | il più intraprendente sodomizza il compagno davanti | l’urlo che si alza è solo un anticipo | la rivoltella a pressione frena lo scandalo”. Fa insomma il proprio dovere di poeta, Ferrari; quel dovere che per l’immenso Mario Benedetti significava “dire abissi che a volte | la prosa tace”, e che questi versi riescono a compiere anche a trent’anni di distanza dal loro concepimento.
Insieme a Macello è uscito un altro volume di poesie che, pur frammiste a materiale recente, hanno radici lontane, addirittura nel “remoto 1969”. Si intitola Prossimamente, lo pubblica Mondadori ed è opera di Giancarlo Majorino. Abissi anche qui, ma di tutt’altra natura: “ti starò sempre vicino | tette a te vicino | bolle il pentolino | canto dei due Zirli || avevano discusso all’inizio e ma | in un rossore come tra le fiamme | s’è deciso di | levarsi quel fastidio || niente sesso | ma non poté durare e la ragazza ci | voleva vien nel letto, ma con gli slip | togliendo solo il reggipetto”. Nel remoto 1969 poteva anche funzionare, visto che allora eravamo tutti un po’ pirla; ma oggi come oggi ci vuole una gran faccia tosta a spacciare questa roba per “impasto denso di inesausta tensione etica e civile”, come fa l’anonimo estensore dell’aletta.
Majorino – che nei sei lustri in cui l’editoria snobbava Ferrari ha pubblicato almeno dieci volumi – è figura influente e ubiqua nel panorama della poesia italiana (già leggendaria, benché recentissima, è la sua prefazione ai versi dell’incauta Maria Attanasio, cui riserva queste e altre parole di lirica limpidezza: “l’originalità e l’energia latente di questo bel libro sembrano matericamente risiedere in una condensazione di elementi eterogenei finora ritenuti opposti o comunque non passibili di compenetrazione reciproca”). Ha persino “fondato e diretto, solo o con altri, riviste letterarie”, e dev’esser stata questa bizzarra esperienza dissociativa a far sì che nella fase più matura (evidenziata nel volume da apposito carattere) approdasse alle vette di: “è tanaparadiso! perché non zei con qui? | gèmiti e scalpoccìo tinnavano continuano | vissuti senza vissuto propovvisori wow! | un’appellata di kiss scon tinuava ke è? tìmmi, che è?! | pure s’è vista un’ala seppellente tizzi un lumeggiar lineavigor…”
Chissà se Maurizio Cucchi – altro bell’esemplare di quelli che Ferrari chiama i “poeti dalle penne conserte” – allude a questi versi quando recensisce Majorino lodandone lo “strenuo lavoro sulla lingua” e “l’ininterrotto corpo a corpo con la realtà privata e pubblica”.
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Majorino poeta –
ossimoro
di nome e di fatto.
Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 22 maggio 2004