Maurizio Costanzo, in arte Ugo, scrive versi a Chi “al netto della vita” e senza consecutio

Può darsi che quella di Costanzo sia semplice negligenza: omesso controllo, incauto acquisto, chissà. Fatto sta che da un paio di mesi la sua ampia persona è avvolta da un inequivocabile fumus di Poetastro dello Schermo.
Il poetastro dello schermo – formula dai natali danteschi, catodica solo per concorso esterno – è l’autore di comodo cui in taluni frangenti il poetastro tout court attribuisce i propri brutti versi. Di solito è una figura immaginaria, ma i più raffinati si affidano ad autori realmente esistiti, purché congruamente defunti e talmente minori da essere utilmente privi di recapito bibliografico. Al PdS si ricorre non perché ci si vergogni della bruttezza dei propri versi (il poetastro è come mamma soie: scodella scarrafoni e gli sembrano adoni) bensì per motivi di discrezione galante, giacché quelli spacciati tramite PdS sono in realtà messaggi galeotti, diretti a un amore segreto e latori di amore segreto.
Data la comune bruttezza, è difficile distinguere i versi PdS da quelli del poetastro tout court. A rivelare l’intrigo è piuttosto il modus operandi della loro somministrazione: l’insistenza gratuita con cui il poetastro autoschermante chiama in causa l’autore dei versi che va rifilando; il suo compulsivo desiderio di strafare, che lo spinge da un lato a sciorinare inutili dettagli sulla figura poetante e dall’altro a frapporre strane reticenze su quei dettagli stessi; il delirio di onnipotenza che alla fine gli fa compiere il fatidico passo falso che in ogni buon feuilleton consegna il malfattore al giusto castigo.
Ora, per tornare a Costanzo, il dubbio che ci attanaglia è se, feuilleton per feuilleton, egli sia solo l’ignara pedina di un gioco più grande di lui.
Poniamo che tu sia un boss della TV, e che una delle mille rubriche di cui sei titolare sia ospitata dal rotocalco Chi. La direttrice del giornale si è recentemente rivelata un’eminente poetastra, quindi è naturale che tu, per farle cosa grata, decida di suggellare le tue settimanali stille di saggezza con zaffate poetiche su quell’amore asimmetrico (io frignante causa amante sfuggente) che caratterizzava anche le sue poesiole. Fin qui tutto regolare. Compresa l’insipienza dei versi di cui ti servi (“Di cosa stai parlando | amore mio? | Di bellezza, di fisico perfetto | di isole isolate | di capanne e cuori | di fate ossigenate?”), versi che dapprima sostieni essere opera di un anonimo “amico”, ma che con l’andar delle settimane cominci ad attribuire a tal Ugo Straniero, dato per defunto da decenni e la cui opera ti verrebbe recapitata – a rate, come orecchie d’ostaggio – dal figlio Niccolò.
E qui comincia a incespicare l’asino. Perché il loquace Niccolò risulta fornirti anche chiose intime che nessun figlio ammodo oserebbe mai di dare in pasto a Chi – come quando attribuisce a “un breve tumulto sentimentale del padre” i fulgidi versi “Questa è la storia | di un lui e una lei. | Lei è confusa e altalenante. | Lui si è rimbecillito | per capire | dove ostia sia finito. | L’amore | dei sentimenti definitivi | non sbaglia i congiuntivi…” (dati i tuoi noti dissapori con la consecutio – testé ribaditi da un “A me sembra che si racconta sempre meno” – quest’ultima terzina ha tutta l’aria di un diversivo per fugare ogni sospetto di tuo coinvolgimento autoriale).
A questo punto la situazione precipita. Forse i versi che pubblichi non ottengono l’effetto sperato, forse l’amor segreto ha fiutato l’inghippo; fatto sta che rischi il tutto per tutto: li millanti pubblicati su Nuova Antologia (però raffazzoni la data: “credo nell’aprile del 1958”) e “celebrati” da un critico, tal Rolando Martinelli (però lo fai sparire nel nulla: “del quale si sono perse le tracce da anni”). Ormai sei alla disperazione. E insieme alla lagna dell’ultimo frammento ecco arrivare, puntuale, il passo falso: “…a meno che non voglia | continuare | a farti del male | coi sentimenti | in libera uscita. | Al netto della vita.”
Al netto? Un poeta degli anni 60 che usa un cliché tardo 2002? Precorreva il linguaggio, farfugli tu, con le spalle al muro. Ma certo: come Montale quando scriveva “E non voglio più | consigli | per gli acquisti.”
A Mauri’, giù la maschera. Straniero è lo schermo: il poetastro chi è, tu o la Giacobini?
(fine I puntata)

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 3 luglio 2004

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