Lo strano caso di maturazione post mortem del versista Straniero. E le bizzarrie del suo mentore

“Ahi ahi | te ed io lungo il sentiero | che porta all’imbarcadero…” L’avevamo lasciato lì, Ugo Straniero: nei pressi di un imbarcadero, alle prese con un gatto nero e un impiegato di ministero; forse c’era di mezzo anche un sombrero in testa a un torero – ma non ci giureremmo, ché la memoria è debole e la lettura di quel fulgido poema risale ormai al luglio scorso. Da allora molto stile è passato sotto i versi di questo simpatico poeta da strapazzo, ufficialmente morto negli anni Sessanta eppure pronto a rigenerarsi a ogni nuovo numero di Chi, dove Maurizio Costanzo ne ospita le rime fortunosamente ritrovate e ne fa puntuale commento per le proprie essudazioni sapienziali.
L‘evoluzione poetica di Straniero è stata sbalorditiva al punto che, se il poverino non venisse dato per defunto nel secolo scorso, saremmo immodestamente tentati di attribuirla alle cure pedagogiche che gli abbiamo dedicato da questa colonna.
Per fare un esempio: partito col non proprio indiavolato schema rimico in «AAAA» (“In un giorno di calura | son tornato oltre le mura | lì, dietro il campo di verdura | dove sta la mia futura”), Straniero è presto approdato a moduli assai sofisticati, dalla suggestiva rima che potremmo chiamare «convulsiva o asinina» di “Seduto a un tavolo, | la testa reclinata, | aspetto un cenno, | una telefonata. | Ma fa caldo, | la spiaggia è affollata. | Perché lei dovrebbe ricordare | mentr’esce gocciolante dal mare…” a quella scanzonatamente tradita di “La donna con la sporta | non si è neppure accorta | di aver sbagliato portone”. (Come si vede, pur osando a dismisura sul piano formale, S. non rinuncia mai a temi di alato classicismo.)
Pian piano, il Nostro ha anche smesso di usare termini pericolosamente avveniristici: roba come “salvavita”, per esempio, che all’epoca in cui ce lo si vuol far credere vivo era ancora un ricciolo di creatività nella mente di qualche avo Beghelli. Questo non gli ha comunque evitato una fase futurista, come l’ha coraggiosamente definita il suo mentore (stavamo per dire il suo autore, pensate un po’) nel presentarne versi la cui audace densità farebbe invidia a Soffici: “C’era puzzo | nel pozzo | dove il pazzo | aveva nascosto | un pezzo | del pizzo.”
Insomma: un singolare caso di maturazione post mortem, che peraltro ha reso sempre più intollerabile e ingiusta l’irreperibilità di cotanto poeta fuori dalle pur degne pagine di Chi. Ma un bel giorno di fine settembre ecco arrivare il fatidico annuncio, formulato da un Costanzo troppo commosso per rammentare l’esistenza della punteggiatura: “Sono numerosi gli estimatori di Ugo Straniero e allora voglio far sapere che assai probabilmente nei prossimi mesi verrà pubblicata una riedizione delle sue poesie essendo da tempo esauriti i volumetti pubblicati un po’ prima e un po’ dopo il 1960.”
Figuratevi la gioia dei suddetti estimatori! Tutti a chiedersi: uscirà nella collana dello Specchio? Ne faranno un Meridiano? Finirà dritto nella Pléiade? Interrogativi partecipi e vibranti, però rimasti senza risposta per cinque interminabili settimane. Solo ai primi di novembre, infatti, il mentore riprende l’argomento – però adesso parla di pubblicazione a cura di una “piccola casa editrice romena”. Intende forse rumena? “Imbarcaderu gattu nerea”? Romana? “Sentié ministé toré”? Rom? “Imbarcadericza porompomperika”? Mah.
Il dubbio diventa enigma la settimana seguente, quando, in un crescendo confusionale non si sa se più linguistico o geografico, Costanzo parla di imminente pubblicazione “in polacco”. Sgomento fra gli Straniero-boys: enclave polacca in Romania o editore polacco in Roma? Poi, qualche giorno fa, l’enigma si scioglie in farsa: Costanzo, con accresciuta attenzione alle virgole ma immutato sprezzo della logica, introduce come probabile editore dell’opera di S. tal Raffaele Morelli, “lo psichiatra che con autorevolezza dirige Riza Psicosomatica”.
A questo punto il povero Straniero farebbe bene a chiedere al buon Dio di cambiargli mentore. Ai morti normali non è consentito, a quelli mai esistiti forse sì.

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Cambia nom de plume,
poetastro di Chi:
Maurizio Invernizio.

Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 4 dicembre 2004

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