Proprio un peccato, che il libro di poesie di Aldo Nove non sia ancora arrivato. Lo aspetta da giorni, con trepidazione: l’ha scoperto grazie a una clemente recensione su non ricorda più quale giornale. Si intitola Fuoco su Babilonia!: titolo furbamente tempestivo e assai bello (però farina di sacco altrui – di Sinead O’Connor, per l’esattezza). E si sottotitola “poesie 1984-1996”. Nientemeno: una silloge dell’opera lirica di Antonio-Centanin-non-ancora-Aldo-Nove! Uau, direbbe Woobinda.
Proprio un guaio, insomma, che non sia ancora arrivato. La cortese libraia gli spiega che non è colpa loro se l’editore Crocetti «consegna male». Ma lui è impaziente lo stesso, perché ogni volta che gli capita di leggere qualcosa di Aldo Nove in materia di poesia si diverte da matti.
Oddio, quando lo vede svettare sui libri di poesia Bompiani come direttore di collana non è che poi rida tanto. E quando sotto il suo – o accanto, o per traverso, o comunque a meno di sei chilometri da esso – legge nomi del rango di Domenico Campana e Carmelo Bene, gli viene un po’ da piangere. Per il resto, però, il binomio Nove/poesia è per lui certezza di spasso assicurato.
Tutto nasce dalla versione esilarante che l’ex cannibale è riuscito a produrre di Casual Sex, antologia del giovane e scandaloso poeta inglese Murray Lachlan Young, dando prova di carenze linguistiche degne di Zucconi, ma soprattutto (e ben più ridicolo, trattandosi di poesia data da tradurre a preteso poeta) di assoluta e imperterrita sordità in materia di suono & senso.
Non sapendo di inglese, infatti, può anche capitare di confondere “hideous”, atroce, con “hideout”, rifugio. Ma il sospetto che un aggettivo al posto di un sostantivo non renda un gran servizio al concetto da tradurre dovrebbe pur venire, no? A Nove no, sicché licenzia come “rifugio insanguinato” quello che per l’ignaro Lachlan Young era, appunto, “atroce massacro”. Due cose ben diverse, massacro e rifugio, e ben distanti – un po’ come Aldo Nove e la poesia. O come, pochi versi dopo, l’originario “bull bar on his car’s front end” e il delirante “la barra che teneva i tori gli finì contro l’automobile” in cui lo sfigura il poeta Nove, triplicando le sillabe e inventando di sana pianta una Pamplona automobilistica.
I versi originali, riportati a fronte, sono belli e spesso divertenti; ma le risate vere arrivano con la traduzione alla cieca che ne fa Nove. “Everybody’s turning queer” (“stanno diventando tutti froci”), lo converte in un castigato quanto grossolano “chiunque perdeva la testa”. “She’s fucking asking for it”, al contrario, lo perverte in “lei vuole soltanto scopare”. I “chainmail sandals”, checcheschi sandali in maglia di ferro, ai piedi di Nove si tramutano in “sandali a catena”, roba più da Rubbia che da Paciotti. Un “disparate farce” che implora d’esser tradotto perlomeno letteralmente, lo prende per “farsa disperata”; e il “bus boy” – che chi sia stato a Londra anche solo per i saldi di Harrod’s sa essere il cameriere – lo trasfigura in un insensato “ragazzino dell’autobus”, reso ancor più grottesco dal fatto che la scena si svolge non su un double-decker bensì in un bar. Infine (castroneria ultima, ma solo di quelle di cui è tempestata una singola poesia), quando Lachlan Young, con un orecchio a Marinetti e l’altro a Fellini, anziché alle parole affida la salvaguardia di metrica e assonanza a una taglia, ovvero a tre numeri, Nove non solo adopera le stesse cifre, che ovviamente in italiano hanno ben altro suono e durata, ma addirittura, con una sorta di enjambement algebrico, le distribuisce su due versi.
Una pacchia, insomma. E, visto che il massacratore di Lachlan Young è un Aldo Nove della maturità, la sua sospirata raccolta giovanile promette mirabilia. La aspetterà con pazienza; nel frattempo, visto che l’antologia si ferma al ’96 e che la distribuzione è lenta, chiede alla libraia di prenotargli fin d’ora anche quella, inevitabile, degli anni successivi. Però la avverte che forse la pubblicherà l’editore Kowalski, specialista in comici.
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Il fu cannibale
sbrana i versi altrui.
Sai che Novità.
Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 24 maggio 2003