"Non ho detto gioia, ma noia, noia, noia, maledetta noia". Leggendo le soporifere - nonché incomprensibili - pagine di Fernando Bandini, torna subito in mente il mantra in musica del grande Califano. Un fiotto spontaneo che sgorga sin dai primi versi di Dietro i cancelli e altrove (edito da Garzanti al prezzo assurdo di 18 euro), ultima raccolta del professore. Già, perché Bandini ha un passato di docente di metrica e stilistica, e questo deve averlo convinto che per render degno di lettura un verso basti sapere con quante sillabe imbastirlo e se trovargli una rima. La necessità che tanta alchimia produca un risultato emotivo non rientra nei suoi piani. Né, tantomeno, l'eventualità che l'insieme dei versi faccia riflettere o gioire, laceri l'anima o la rassicuri, inebrii o commuova - tutte quelle inezie, insomma, di cui va in cerca chiunque volga la propria lettura alla poesia.
Pretese esagerate, forse; e Bandini, magari modesto d'animo quanto lo è nel verseggiare, avrà pensato che da lui nessun lettore si sarebbe aspettato risultati simili. Allora perché non tentare almeno un esito intermedio, anziché inanellare continue occasioni di sbadiglio? E perché incrudelire con somma noia, e somma incoscienza, dotando di apposita versione latina alcuni poemi "eletti"? Non se ne capisce la necessità - anche perché non se ne trova il senso.
Ad aver l'onore della duplice versione (come se già non bastasse la singola) è, per esempio, una sterminata tiritera sulla regina di Saba. Di quella gran donna - che pure qualche estro da pensatrice l'ebbe (magari leggendario, comunque sopravvissuto nei secoli) - a Bandini interessano quasi soltanto i dettagli fisici più triti("Profumi forte di muschio, sei nera in tutto il corpo"; "Tu coi lunghi capelli nascondi il fianco desiderato") con una sospetta attenzione per gli aspetti traspirativi ("Si spoglia in fretta. Nella veste caduta la sua nera giovinezza | ha lasciato umide tracce sotto le ascelle").
Del resto, un certo indugio di sapore senile per il gentil sesso è testimoniato anche dai patetici versi dedicati a una giovane ginnasta, oggetto di passione dell'autore: "Fulva ginnasta, mio sogno febbrile, | che non mi ami perché sono vecchio"; o ancora: "E per significarti, mia proterva | dolcissima virago, | questa senile brama e insieme farne ammenda".
Ma è di fatto un'altra, la femmina che domina incontrastata le pagine di Bandini (e anche lei tocca sorbircela in duplice idioma); invocata, insostituibile, sempreverde: la mamma. La defunta genitrice cui il Nostro, ormai anziano, si avvicina sempre più, seguendone il cammino in una cacofonia di -esto: "Mesto trascorro questo resto di giorni, | seguo le tracce che dietro te hai lasciato". Un tema non proprio originalissimo, che persino il cantante Francesco Renga ha trattato, e con esiti decisamente più felici: "Qui non c'è mai nessuno che mi parli di te | Io mi perdo nel fumo di mille parole | … | E cerco ancora qualcosa nel silenzio che c'è | Lungo questo cammino io trovo di nuovo | Le tracce di te". Certo, non è poeta nemmeno Renga; ma almeno riesce a suscitare qualche brivido.
Bandini non si nega neppure l'orrendo vezzo in voga tra chi si impunta a far poesia pur non essendovi portato: usare non parole bensì paroloni, come se sciorinare termini obsoleti e ricercati alzasse di per sé il livello dell'opera. Eccolo dunque farsi solecchio contro il barbaglio anziché semplicemente ripararsi dal sole: "Dov'ero finito, che vasta | campagna contemplavo facendomi solecchio | contro il barbàglio di quel caldo aprile?" (chissà poi perché accentarlo, il povero barbaglio). Ecco la madre coccolarlo a via di ipocoristici anziché di vezzeggiativi: "Avevo sessant'anni e ottanta e più mia madre | e a me si rivolgeva ancora | con gl'ipocoristici di un tempo in -etto e -ino" (e qui l'accento va messo sullo sconcio sonoro e di senso di quella triplice batteria di "e"). Ecco il cane sfiancarsi seguendo non l'odore bensì l'usta della lepre: "Come il cane da caccia che sull'usta | della lepre si snerva" (povera bestia: in realtà snervata dal tentativo di capire che accidenti significasse quella parola). Inutile aggiungere che nei prati di Bandini non ci si imbatte mai in margherite o papaveri, bensì e solo in filipèndole, alchechengi e miosotidi.
Che noia. Anzi, che uggia.
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Dietro i cancelli
nessuna poesia.
Di certo è altrove.
Articolo di Benedetta Palmieri del 10 dicembre 2007 per Poetastri.com